L'INTERVISTA
giovedì 6 Febbraio, 2025
di Lorenzo Perin
«Non ci sono ragioni fondate per essere preoccupati da un punto di vista radioprotezionistico per la realizzazione di nuove stazioni radio base. Queste aumentano per una sola e semplice ragione: il telefono, ormai, è sempre più utilizzato sia come strumento personale sia lavorativo». Con queste parole Carla Malacarne, fisica e funzionaria del Settore qualità ambientale dell’Appa (l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente), spiega il considerevole aumento delle stazioni radio di base in Trentino, passato dalle 321 del 2018 alle 638 del 2024 (il T del 4 febbraio). I dati sono contenuti nel Rapporto sullo stato dell’ambiente 2024 del Trentino, curato proprio dall’Appa.
Per citare alcuni dati più generali, in Italia il numero dei bambini che utilizza il telefono fra i 6 e i 10 anni è cresciuto dal 18,4 per cento del biennio 2018-2019 al 30,2 per cento del 2021-2022. Nel mondo, a giugno 2024, è risultato che 5,68 miliardi di persone utilizzano un telefono mobile, con un amento di 126 milioni (più 2,6 per cento) rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente.
Questo aumento implica un incremento delle radiazioni in circolazione?
«In realtà, non necessariamente. A dicembre del 2023, lo Stato italiano ha deciso di innalzare temporaneamente i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, passando da 6 Volt per metro (V/m) a 15 V/m per il valore di attenzione. Questa modifica, entrata in vigore il 29 aprile 2024, riguarda i livelli di esposizione consentiti, e tuttavia non è necessariamente collegata a un aumento del numero di impianti di telecomunicazione. In special modo, con la nuova famiglia di tecnologie di quinta generazione, il cosiddetto 5G, le antenne sono in grado di indirizzare il fascio di onde elettromagnetiche dove viene richiesto, quando viene richiesto. Rispetto alle precedenti generazioni di telefonia, la rete 5G è dunque molto più efficiente e meno emissiva».
Sono dunque infondate, secondo Lei, le preoccupazioni della popolazione rispetto alle nuove tecnologie 5G?
«A mio parere, molto del clamore mediatico che si è generato attorno a queste tecnologie è esagerato. Probabilmente, molte proteste nascono più per l’impatto visivo che la costruzione di nuove infrastrutture ha su un territorio, che per effettive preoccupazioni sugli effetti di esposizione. In parole semplici, l’antenna è qualcosa che si vede e che quindi colpisce, i campi elettromagnetici che (eventualmente) essa genera, no. Ed è molto spesso questo l’elemento che suscita dissenso. L’unico reclamo che forse – ma non ho i dati a confermarlo – ha delle basi, è quello del possibile deprezzamento degli immobili nei pressi di queste antenne, per una questione più che altro paesaggistica: però è altrettanto vero che le zone senza copertura di rete mobile sono altrettanto deprezzate».
Se guardiamo invece all’impatto ambientale di queste infrastrutture cosa possiamo dire?
«L’esposizione a elevati livelli di campi elettrici, molto al di sopra di quelli fissati dai limiti normativi, ha effetti acuti noti, come il riscaldamento dei tessuti biologici. Tuttavia, se si rimane al di sotto di tali livelli, non ci sono rischi noti per l’ambiente. Potremmo immaginare le antenne come dei microonde a bassissima potenza, tale da non riuscire a causare effetti apprezzabili. Ed è proprio per far collimare un’attenzione all’impatto ambientale, entro dei rigidi livelli di sicurezza, con le esigenze dello sviluppo tecnologico, che l’Appa è chiamata a esprimersi in merito al rispetto dei limiti in merito alla modifica o alla costruzione di nuove infrastrutture di telecomunicazione. Tali verifiche sono sempre effettuate in maniera cautelativa, adottando margini di sicurezza elevati, per esempio considerando tutti gli impianti attivi alla massima potenza e senza considerare l’effetto schermante di ostacoli, quali gli edifici».