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venerdì 7 Febbraio, 2025

Caso Sara Pedri, la sorella Emanuela sull’assoluzione di Tateo e Mereu: «Non ci arrendiamo»

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La sorella della ginecologa: «In questo momento è molto importante non fare passi indietro»

«In questo momento è molto importante non fare passi indietro, non arrendersi, non alimentare pensieri negativi pensando di essere invisibili, abbandonati e non creduti, non cerchiamo un colpevole all’esterno facendo i guerrafondai o i complottisti, non serve a nulla. Dobbiamo continuare a credere nella giustizia, in noi stessi, facendo rete per aprire le porte, senza paura di metterci la faccia e denunciare». Queste le parole di Emanuela Pedri, sorella della ginecologa Sara Pedri scomparsa il 4 marzo 2021 dopo aver dato le dimissioni all’azienda sanitaria trentina e lasciato il reparto di Ginecologia e Ostetricia del Santa Chiara dove lavorava da alcuni mesi. La 31enne era tra le parti civili – rappresentata dalla madre – nel processo che si è concluso venerdì scorso con la sentenza di assoluzione – «perché il fatto non sussiste» – nei confronti dell’allora primario del reparto, Saverio Tateo, e della sua vice Liliana Mereu, che si sono così scrollati di dosso quella fastidiosa accusa di maltrattamenti in reparto in concorso.
L’accusa che non ha retto
«È proprio da qui che bisogna partire, da questo risultato apparentemente brutto, che ci ha indignati tutti, ma che ci dice una cosa importantissima: manca un reato specifico nell’ambiente di lavoro che si chiama mobbing» ancora le parole di Emanuela Pedri nel lungo post pubblicato ieri sulla pagina social “Verità per Sara Pedri”. «Ora più che mai è importante ricordare dove siamo arrivati tutti insieme con Sara, abbiamo “spostato le montagne” e questo grande risultato non può e non deve essere dimenticato». E, ancora: «Sara non c’è più fisicamente, ma le venti dottoresse che tra i singhiozzi hanno avuto il coraggio di raccontare il loro calvario, sono ancora vive e stanno ancora soffrendo ricevendo l’ennesimo schiaffo e l’ennesima umiliazione. Non è difficile capire cosa manca» riferendosi al riconoscimento del reato di mobbing. La stessa Emanuela Pedri, in qualità di presidente presidente di Nostos, associazione nata l’anno scorso in nome della ginecologa scomparsa, un’associazione a livello nazionale per aiutare le vittime di mobbing sul lavoro, scrive ancora: «Noi di Nostos ci siamo, pronti per questo importante viaggio insieme, e tu che pecora vuoi essere?».
«Il mobbing non è reato»
Era stato anche lo stesso difensore della famiglia Pedri, l’avvocato Nicodemo Gentile, a dichiarare fuori dall’aula del tribunale di Trento, in seguito alla sentenza – «che si rispetta sempre e comunque» – che il mobbing «rimane una brutta bestia. ll mobbing, infatti, non ha una specifica collocazione nel diritto penale quale autonoma e precipua fattispecie criminosa. L’auspicio è che il nostro legislatore possa finalmente intervenire colmando questa incivile e incomprensibile lacuna».