spettacoli
sabato 22 Febbraio, 2025
di Lorenzo Perin
Le opere d’arte sono cose vive, e hanno una storia personale che può essere ripercorsa e scandagliata, anche per portarne alla luce i significati più nascosti. E in un mondo che è pieno di esegesi, critiche e interpretazioni di terze parti, ogni tanto c’è bisogno che questo lavoro venga fatto in prima persona. Questa sera, al teatro comunale di Pergine, Massimo Bubola, celebre cantautore, scrittore e produttore discografico veneto, ripercorre nel reading-concerto «Sognai talmente forte» alcune delle canzoni più famose della sua carriera. Attraverso l’esecuzione dei brani, i racconti e gli scambi con il pubblico, il cantautore rivive le visioni, le radici e le influenze alla base di «Fiume Sand Creek», «Camicie Rosse», «Volta la Carta», «Cielo d’Irlanda»… e altri grandi brani che hanno segnato la storia musicale del nostro Paese.
Cosa c’è da aspettarsi da questo reading-concerto?
«Le canzoni tutte hanno una letteratura e un percorso poetico ed esistenziale alle proprie spalle, che all’interno dello spettacolo cerco di far rivivere introducendole, reinterpretandole e, in qualche modo, riattualizzandole. Prendiamo “Fiume Sand Creek”, che parla del massacro di alcuni indiani innocenti nel 1864 in Colorado: anche nella nostra epoca, massacri come questi non sono certo un mero ricordo del passato… La grandezza della poesia è che essa continua a parlarci nel tempo. E può farlo rimanendo sia fedele a sé stessa, che cambiando nel corso del tempo: le canzoni che porterò non saranno tali e quali a come le ho pensate, scritte e suonate 30 o 40 anni fa, ma cambieranno. Ma le canzoni non saranno solo performate, bensì saranno introdotte da riflessioni ed esegesi, un po’ come nel libro che ho scritto e che dà il nome a questo reading-concerto: il nostro rapporto con la poesia, il nostro rapporto con l’ingiustizia, sono tutti temi e concetti che emergeranno nel corso della serata».
Quali sono gli artisti che più l’hanno ispirata lungo i suoi anni di formazione?
«Senz’altro, un posto di primo piano lo merita la letteratura classica, dei poeti greci e latini. Il nome del protagonista del mio libro è Callimaco, che fu un poeta ellenistico originario di Cirene innovativo ed eretico, un po’ come il mio personaggio: e poi ci sono Esodo, Pindaro, Alceo, Catullo… fra i moderni sicuramente Petrarca e Ariosto, per poi arrivare fino a ‘800 e ‘900 con i simbolisti, Mallarmé, Rilke, Breton… Devo molto a mio padre, che mi ha sempre fatto leggere: diceva che la poesia è la cosa che più ti insegna di stare al mondo, sia per quanto riguarda il vivere che lo scrivere, perché è una grande opera di sintesi di ciò che succede, uno sforzo di condensazione della realtà in versi. Fra i cantautori invece non possono che citare Cohen e Dylan fra gli americani, e Brassens e Brer per i francofoni, fra i più grandi poeti del ‘900».
Un cantautore è più un cantante o uno scrittore? Qual è il rapporto fra parola e musica nei suoi testi?
«Musica e letteratura sono nate insieme e sono due sorelle che si tengono per mano, che hanno sempre convissuto. Anzi, per certi aspetti direi che sono la stessa cosa. È un falso problema, in realtà tutto italiano, quello di volerle scindere come se fossero due cose, come se una dovesse nobilitare l’altra o viceversa. Alceo e Saffo suonavano la cetra, Omero cantava, Esodo batteva col bastone mentre recitava coi suoi versi… A ben pensarci, il lessico poetico è di derivazione musicale. La parola “sonetto” significa piccolo suono, e quest’associazione con la musica la si può ritrovare in mille forme poetiche nel corso della storia».
Com’è nata la collaborazione con De André?
«Sin dagli albori della mia carriera, io mi sono cimentato nella costruzione di un genere che in Italia praticamente non c’era, cioè il folk rock, una musica che ha una sua letteratura. Con Fabrizio ci siamo incrociati a un certo punto negli anni ’70, e probabilmente per questa mia peculiarità mi ha chiesto di lavorare con lui: fra il ’78 e l’81 abbiamo lavorato ai suoi album “Rimini” e “L’indiano”, e anni dopo ho scritto il testo di Don Raffae. La canzone fu scritta nei primi anni ’90, con l’intento di mettere in luce il paradosso di un servitore dello Stato che si rivolge a un rappresentante dell’antistato… E quello che ci sembrava un paradosso già ai tempi, venne poi superato dalla realtà. Perché la realtà spesso supera la fantasia, e il compito di un’artista è fermarsi a riflettere su questa realtà, per poi dargli una forma più definita nella fantasia».
Come nasce una sua canzone?
«Come dicevo prima, le parole stesse hanno una loro musicalità e una loro metrica; la canzone è il risultato di un’alchimia che si crea fra musica e parole. Per quanto mi riguarda, è da queste ultime, dalla loro intrinseca musicalità, che bisogna partire. E poi le canzoni nascono da riflessioni, sentimenti e vissuti, da veri e propri momenti di osservazione sia della realtà esterna che interna».
il reportage
di Patrizia Rapposelli
Una mattina sui mezzi a gasolio che saranno sostituiti. E per dieci mesi nuove modalità per spostarsi che preoccupano chi si sposta ogni giorno per studio o per lavoro
fauna selvatica
di Daniele Benfanti
Mobilitazione già partita in cinque Comunità di Valle. Ora l’autenticazione: al voto forse a settembre. Il promotore Perin: «Qui il problema sono i lupi, te li trovi in ciclabile»