La tragedia
domenica 2 Marzo, 2025
Omicidio di Riva, Francesca Rozza lascia il carcere per l’ospedale: per il medico ha «intenti suicidiari»
di Benedetta Centin
L'avvocato Canestrini: «Ha vegliato per un giorno il corpo della madre e ha tentato di togliersi la vita, è affranta per non esserci riuscita. Sa di aver compiuto un gesto estremo ma non cerca attenuanti. Prima di giudicare, è essenziale capire la sofferenza, il peso insopportabile di un’assistenza»
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A poche ore dal fermo per l’ipotesi di omicidio aggravato dell’anziana madre, la 61enne Francesca Rozza è stata trasferita all’ospedale Santa Chiara di Trento. Nella sera di ieri, primo marzo, ha infatti lasciato il carcere di Spini dov’era da poco reclusa, accusata di aver ucciso nella casa di Riva del Garda la madre 91enne Maria Skvor, con cui conviveva da sette anni. Madre a cui avrebbe scagliato contro una lampada mentre dormiva, fino ad ucciderla, e che avrebbe vegliato per un giorno intero prima di dare l’allarme.
Ora si è reso necessario accogliere l’arrestata in ospedale per quelli che – stando al referto del medico del carcere ricevuto dai suoi avvocati – vengono definiti «intenti suicidiari in utente con disturbo psichiatrico e crimine violento maggiore all’ingresso».
Per domani, 3 marzo, è fissato l’interrogatorio di convalida del fermo e la 61enne dovrebbe comparire davanti al giudice. Già ieri i suoi avvocati avevano fatto sapere che era in stato confusionale. «La mia assistita versa in uno stato di estrema prostrazione e saranno necessari approfonditi accertamenti sulla sua imputabilità» era stata la dichiarazione dell’avvocato Nicola Canestrini, difensore della donna assieme a Giovanni Guarini.
L’avvocato Canestrini: logoramento emotivo fino all’atto disperato
Proprio oggi il legale lancia un monito: «Prima di giudicare, è essenziale capire – le parole di Canestrini – La tragedia che ha colpito Francesca Rozza e la sua famiglia merita silenzio e rispetto, non giudizi affrettati». Per il difensore è necessario «Capire il contesto, la sofferenza, il peso insopportabile di un’assistenza che si protrae per anni, spesso in solitudine, senza supporto né alternative reali. La nostra assistita, da ieri sera (primo marzo) ricoverata al reparto specializzato del Santa Chiara, non solo ha vegliato sua madre per un giorno intero dopo averne causato la morte, ma ha anche tentato di togliersi la vita. Non ci è riuscita. Oggi è affranta per non aver avuto il coraggio di seguirla e vive con un dolore insostenibile». Rozza, racconta il suo legale, «non si giustifica, non cerca attenuanti. Sa di aver compiuto un gesto estremo, ma non prova sollievo per se stessa, solo la consapevolezza che almeno alla madre sono state risparmiate ulteriori sofferenze. Quello che emerge con chiarezza è una lunga e profonda sofferenza psichica, un logoramento emotivo che si è consumato lentamente, fino a culminare in un atto disperato».
La difesa: ha agito in un momento di totale sfinimento
Canestrini approfondisce anche il contesto familiare, la sofferenza, il logoramento. «Da anni la nostra assistita viveva in uno stato di isolamento, sopraffatta dalla fatica e dalla paura per il futuro della madre, senza riuscire a concepire un’alternativa – spiega il legale – Negli ultimi mesi il suo stato psicologico è peggiorato sensibilmente: si era chiusa in sé stessa, non riusciva più a riposare, era sopraffatta da un’angoscia costante e mostrava segnali di esaurimento emotivo. Non aveva un piano, non aveva un progetto. È stata travolta da una condizione di sofferenza mentale che l’ha portata ad agire in un momento di totale sfinimento, quando le sue capacità di controllo erano ormai compromesse».
Per Canestrini «Questo non è un caso di volontà criminale, ma il risultato tragico di una mente annientata dal dolore e dalla solitudine. È necessario che il processo tenga conto della sua condizione psichica al momento del fatto, perché il diritto non può ignorare il peso della sofferenza mentale quando valuta la responsabilità di un individuo».
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