la reazione
venerdì 7 Marzo, 2025
Ergastolo a Nweke, la protesta della sorella: «Chiediamo venga accolto in una struttura»
di Benedetta Centin
Anthonia dopo la condanna del fratello all'ergastolo: «Il carcere non fa per lui. Lo imbottiranno di medicine»

«Io e la mia famiglia chiediamo giustizia per mio fratello Chukwuka Nweke: è malato e ha bisogno di cure, lo diciamo da anni. La condanna all’ergastolo è un’ingiustizia. Non è certo la soluzione. Dal 2018 abbiamo fatto numerose segnalazioni agli assistenti sociali sul suo stato di delirio che era sotto gli occhi di tutti: abbiamo chiesto aiuto, anche di sottoporlo a Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, ma la risposta è sempre stata che fino a quando non faceva qualcosa di grave, fino a quando non ammazzava qualcuno, non potevano agire. Se solo le nostre richieste non fossero state ignorate oggi Iris Setti sarebbe ancora viva. Invece lui oggi agli occhi del mondo è un mostro ma i veri assassini, le istituzioni – servizi sociali, ospedale, carabinieri che non ci hanno aiutato – sono ancora libere». Era un fiume in piena, ieri mattina, occhi lucidi e voce tremante, Anthonia Nweke, mentre, fuori dal tribunale di Trento, chiedeva a gran voce «giustizia» per il fratello condannato il giorno prima dalla corte d’Assise all’ergastolo per l’uccisione, lo stupro e la rapina ai danni di Iris Setti, la sera del 5 agosto 2023 al parco Nikolajewka. Corte che non ha riconosciuto l’incapacità del 39enne, come sollecitato invece dalla difesa.
La cittadina nigeriana, rimasta a lungo sugli scalini del palazzo di giustizia di Trento, lo ha scritto anche sul vistoso cartello indossato come un poncho. «Mio fratello ha bisogno di essere curato». E ha insistito: «Chiediamo giustizia per lui e per Iris Setti: una persona lucida non può fare quello che ha fatto lui, non è colpa di mio fratello se ha agito così. Si poteva evitare, ne sono convinta, e Iris sarebbe ancora qui. Abbiamo pianto per lei, la sua famiglia soffre come la mia, si sappia. E come è stata data una giustizia giusta a Iris, così deve essere fatto per il nostro Chukwuka».
Cos’ha da dire ai parenti di Setti?
«Che mi dispiace molto, che ho sofferto per Iris e porgo loro le condoglianze da parte di tutta la mia famiglia. Avrei voluto avvicinarli, anche in aula, per parlare con loro, ma l’avvocato me lo ha sconsigliato».
Da quando segnalavate i problemi di suo fratello?
«Dal 2018, nel corso degli incontri con gli assistenti sociali. Ho chiesto aiuto fino a pochi giorni prima dell’omicidio, il 23 luglio 2023 – così come riportato in alcune lettere inviate a tribunale e istituzioni – dopo che mio fratello aveva cercato di sfondare la porta di casa di mia sorella minacciandola di morte. In ospedale a Rovereto però non mi hanno permesso di parlare con il medico a cui volevo spiegargli la gravità della situazione, la necessità di ricoverarlo, di certificare i suoi disturbi: i carabinieri mi hanno risposto che avevano una bella notizia e cioè che di lì a poco lo avrebbero dimesso. Ma non era quello che chiedevo, no. Forse abbiamo sbagliato noi: abbiamo solo segnalato e non denunciato».
Com’era con voi?
«Con lui era impossibile la convivenza, era spesso fuori di sé, picchiava me e mia sorella e intervenivo ogni qual volta creava problemi fuori e me lo segnalavano. I suoi erano disturbi conosciuti da tutti: si sdraiava sulla strada, urlava, saliva sulle auto, picchiava la gente. Episodi, questi, registrati anche dalle telecamere».
Cosa chiede ora?
«Che venga accolto in una struttura, il carcere non è il luogo adatto, viene solo imbottito di medicine».