Il giallo

giovedì 27 Marzo, 2025

«Non è stato un suicidio». Dopo nove anni si riesuma la salma in val di Non

di

Artur Karaboja, artigiano residente a Cavareno, morì nel 2016. I dubbi della sorella che hanno riaperto il «cold case»

Era il 31 luglio del 2016 quando l’artigiano e padre di famiglia Artur Karaboja, allora di 41 anni, venne trovato morto nella mansarda di casa, a Cavareno, Alta Val di Non. Fin da subito la famiglia, in particolare la sorella Hajrije a cui era molto legato, non aveva creduto al suicidio e aveva sollecitato l’autopsia, che però non era stata eseguita. Ma non per questo la donna aveva smesso di battagliare per far emergere la verità, convinta che non si fosse indagato abbastanza, che quella morte avesse altre spiegazioni. Ora, a distanza di quasi nove anni dalla tragedia, l’autopsia verrà eseguita, nell’ambito di un’indagine della Procura a carico di ignoti che ipotizza l’omicidio volontario.

 

Due archiviazioni

 

L’esame sul corpo era quello che la famiglia albanese aveva chiesto già subito dopo la tragedia. L’ha continuato a sollecitare negli anni, presentando esposti in Procura, denunciando i fatti in tv, alla trasmissione «Chi l’ha visto?», chiedendo la riapertura del caso, delegando avvocati che si erano poi opposti alle due prime richieste di archiviazione del pm. Ancora, assumendo un detective privato, e più di recente, nel 2023, delegando consulenze a un medico legale, il professor Luigi Papi dell’Università di Pisa, e alla criminologa Cristina Brondoni. Tutto per far riaprire il cold case, il caso irrisolto. E per battagliare poi un’ulteriore volta in aula, per scongiurare che il fascicolo finisse di nuovo sotto una pila di faldoni. E a quanto pare sono state proprio le consulenze di parte, i nuovi elementi investigativi forniti dall’avvocata di Hajrije Karoboja – la livornese specializzata in criminologia Silvia Mesturini – a convincere il giudice Marco Tamburrino a non mandare in archivio il fascicolo (rimasto sempre a modello 45, cioè nel registro degli atti non costituenti notizia di reato). Giudice per le indagini preliminari che quindi ha restituito gli atti al pubblico ministero Giorgio Bocciarelli, per nuove indagini, evidenziando la necessità di fare chiarezza sul caso fino ad oggi mai risolto. Ed ecco che sulla copertina del fascicolo diventato a modello 44, e cioè a carico di ignoti, è stata riportata l’ipotesi di omicidio volontario. Passo fondamentale, a questo punto, sarà la riesumazione della salma di Artur Karaboja e l’esame da parte del medico legale Nicola Pagaiani dell’Università di Verona previsti per la prossima settimana.

 

La battaglia della sorella

 

«Vogliamo verità e giustizia, mio fratello non si è suicidato, si deve scavare ancora, si deve procedere con l’autopsia» ha sempre ribadito la sorella Hajrije, Elvira per i più. Nel 2017 aveva raccontato tutti i suoi dubbi e perplessità anche davanti alle telecamere della trasmissione Rai «Chi l’ha visto?» assieme ad altri parenti. «La mattina del 31 luglio 2016 Artur è andato a trovare degli amici in paese e ha fatto colazione con un amico storico, ridendo e scherzando. Dopo qualche ora la tragedia. Non capiamo chi lo abbia trovato e come, ci sono arrivate diverse versioni» le parole della donna che aveva anche riferito come il fratello, dall’anno prima, si fosse separato per qualche tempo dalla compagna. madre dei suoi due figli, dopo quasi 23 anni assieme. A quanto ricostruito allora il 41enne, quel 31 luglio 2016, aveva chiamato l’ex convivente attorno alle 15.30, e dalla voce sembrava agitato. La donna lo aveva raggiunto nella sua casa ed era riuscita a rintracciarlo solo dopo aver fatto squillare il suo cellulare, scoprendo che il suono proveniva dalla mansarda. Lì la drammatica scoperta: l’artigiano aveva una corda al collo ed era appeso a una trave. «La notizia che Artur non c’era più è stato un fulmine a ciel sereno ma non c’era biglietto, segnale o traccia riconducibile a un gesto volontario, no» ha sempre insistito la famiglia, convinta che il 41enne invece sia stato ucciso, che c’era una serie di punti oscuri e di criticità, che le modalità della morte lasciavano spazio a dubbi, che per questo andava indagato più a fondo. Che, insomma, sarebbero stati necessari una serie di accertamenti per fare chiarezza sulla tragedia. Accertamenti, su alcuni aspetti in particolare, che la sorella ha voluto delegare a dei professionisti: una consulenza medico legale svolta sulla base degli atti depositati assieme a una seconda consulenza criminologica investigativa che sostiene come gli inquirenti avrebbero potuto fare di più. Lo faranno ora. A distanza di quasi nove anni.