Il caso

giovedì 10 Aprile, 2025

Ciclismo, la denuncia di Annalisa Benatti (Team Femminile): «Le mie giovani atlete minacciate e quasi investite. Troppa fretta»

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L'episodio risale a martedì pomeriggio, a pochi chilometri da Mezzocorona, e ha coinvolto le atlete del Team dai 13 ai 16 anni

«Il ciclismo è uno sport formativo come pochi altri, e chi sceglie di praticarlo ha il sacrosanto diritto di farlo in sicurezza». Non le manda a dire Annalisa Benatti, ds del Team Femminile Trentino, formazione giovanile che da inizio millennio dà la possibilità alle ragazze della nostra provincia di continuare a cullare la propria passione. Il riferimento è a un doppio fattaccio che, martedì pomeriggio – a pochi chilometri da Mezzocorona, dove il 24 gennaio è stata investita mortalmente la 19enne paludera Sara Piffer – ha avuto come vittime proprio le giovani ragazze (dai 13 ai 16 anni) del Team. «Sulla provinciale della Destra Adige, tra Nave e il ponte di Zambana – racconta Benatti – un’auto a velocità folle ha sfiorato le nostre ragazze, alcune delle quali sono dovute uscire di strada per scongiurare il peggio. Ho provato a seguire l’auto, ma l’automobilista si è accorto, ha sorpassato un veicolo fermo al semaforo del ponte di Zambana ed è scappato a tutta velocità passando con il rosso».

Il secondo fatto, poco dopo, sulla salita che da San Lazzaro, alle porte di Lavis, porta a Meano. «Le ragazze erano provate per quanto successo poco prima – prosegue la ds – e mi hanno chiesto di affiancarle per permettere loro di godere di maggior sicurezza. Un paio di auto hanno atteso il momento giusto per sorpassarci, non è stato così per la terza, con l’automobilista che dopo qualche colpo di clacson ha cominciato a urlarci di tutto dal finestrino, per poi scendere e minacciarci con insulti allucinanti. Ma dove siamo arrivati?». Benatti da due decenni allena, ma di fatto da mezzo secolo è in sella. «Ho ereditato questa passione da mio padre Romolo – ricorda – ma non ho mai corso perché ai miei tempi le gare femminili erano rarissime. Però per anni ho seguito mio fratello Gaetano: abitavamo a Melta e ci spostavamo ai “pomari” (tra Romagnano, Mattarello e Aldeno, ndr) per allenarci. C’erano molte meno auto, e soprattutto non c’era la frenesia che oggi la fa da padrona, quindi ci si muoveva con maggior tranquillità anche senza ciclabili. Ora troppa gente non aspetta nemmeno un secondo, non si rende conto della pericolosità di alcune manovre e non pensa che in sella ci sono persone vere, magari giovani che cullano una passione tra molti sacrifici. Le mie ragazze vengono da paesi lontani da Trento, fanno sforzi enormi con le loro famiglie, e poi si ritrovano a rischiare la pelle: ci alleniamo molto sulle ciclabili, ma a volte dobbiamo pedalare anche sulle strade, dove troviamo sempre più pericoli. No, così non può andare avanti. E mi fa rabbia pensare che poi lo spettacolo del ciclismo piace a tantissime persone, affascinate dall’atmosfera delle gare e dalle gesta dei campioni. Come fanno però a crescere dei campioni, se coloro che pedalano vengono spesso minacciati?».