Lanterna Magica
mercoledì 23 Aprile, 2025
Un panda da favola, un coraggioso Guadagnino e l’ultimo Cronenberg
di Michele Bellio
Le recensioni della settimana: «Moon - il Panda», «Queer», «The Shrouds - Segreti sepolti», «Il favoloso mondo d'Amelie»

MOON – IL PANDA
(Moon le panda, Francia 2025, 100 min.) Regia di Gilles de Maistre, con Noé Liu Martane, Sylvia Chang, Ye Liu
Tian ha dodici anni e vive in Cina insieme alla sorella, alla mamma francese e al papà cinese. Nonostante la severità del padre, che pretenderebbe da lui maggiore impegno e migliori risultati, Tian è l’ultimo della sua classe, non ha amici e trascorre la maggior parte del tempo con il naso incollato ai videogiochi. Per punirlo della sua condotta, il padre obbliga i figli a trascorrere le vacanze a casa della nonna, che vive in una splendida residenza di campagna ai margini delle foreste di bambù del Sichuan. Smarrita la console elettronica mentre cerca legna per il fuoco, Tian si imbatte in un cucciolo di panda gigante, abitante della riserva naturale creata per tutelare la sua specie. Nonostante il contatto con i panda sia proibito dal governo, Tian trova nel piccolo Moon il suo primo vero amico. Prendendosi cura di lui, inizierà a capire molto di più su se stesso e sugli altri. Il regista di «Mia e il leone bianco», specializzato in un cinema per famiglie incentrato sul legame tra esseri umani e animali, aggiunge un nuovo tassello alla sua peculiare filmografia. Affida a una nonna speciale – figura chiave e ponte fra tradizione e modernità, fra progresso e natura – il ruolo di guida spirituale per il giovane Tian e per la sorella, apparentemente perfetta ma segnata dal peso di dover essere sempre all’altezza: “Tu non ridi e non piangi mai” le dice dolcemente la nonna, intuendone la fragilità. Sul fondo della vicenda si intravede la difficile relazione coniugale dei genitori e il bisogno di un nuovo sguardo sulla vita per ritrovare i sentimenti perduti. I contenuti del film, che guarda esplicitamente a un pubblico a cavallo tra scuole elementari e medie, sono chiari e positivi: il percorso di maturazione personale, il ritrovato rapporto con la natura, l’importanza del prendersi cura e del riconoscere i bisogni degli altri. Tuttavia il racconto fatica a coinvolgere pienamente: sono poche le scene per i più piccoli effettivamente dedicate all’interazione con il cucciolo, mentre i ragazzi più grandi rischiano di annoiarsi a causa della prevedibilità di personaggi e intreccio. La narrazione soffre per una scarsa evoluzione drammaturgica e a tratti si avverte la mancanza di un vero antagonista. Sotto il profilo tecnico, il film fatica a trovare un proprio stile e si appiattisce su un ritmo essenzialmente televisivo. Il cast, con una nota di merito per Sylvia Chang nel ruolo della nonna, non sempre è all’altezza e il doppiaggio italiano non aiuta. Rimane, come sempre, la notevole capacità del regista di filmare i paesaggi – suggestive le foreste di bambù – e il paziente lavoro di ripresa con il piccolo panda, che avrebbe però meritato maggior spazio narrativo, anche sul versante della tutela della specie. «Moon – Il Panda» lascia comunque al suo pubblico una lezione importante. Spiace solo che il messaggio, questa volta, arrivi più faticosamente che in passato.
QUEER
(Italia/USA 2024, 135 min.) Regia di Luca Guadagnino, con Daniel Craig, Drew Starkey, Jason Schwartzman – Vietato ai minori di 14 anni
Luca Guadagnino prende di petto uno dei testi più sfaccettati e personali di William S. Burroughs, «Queer», scritto nel 1952, ma pubblicato solo trent’anni dopo. E lo fa con coraggio, addentrandosi in una giungla torbida e malinconica. Ambientato negli anni Cinquanta, in una versione onirica del Messico ricreata tra i fondali di Cinecittà, il film segue Lee (Daniel Craig), alter ego dello scrittore, in un’esistenza da espatriato tossicomane, alla deriva tra bar, pensioni fatiscenti e sogni di redenzione impossibile. L’incontro con Allerton (Drew Starkey), giovane veterano affascinante e ambiguo, riaccende in Lee un desiderio che è ossessione, una tensione affettiva tanto disperata quanto condannata a rimanere unilaterale. Il film è una riflessione sull’identità, sul bisogno d’amore, sull’irrappresentabile desiderio omosessuale in un mondo che non lo tollera. Guadagnino sceglie un registro visivo dove la macchina da presa si muove con lentezza, accompagnando il disfacimento emotivo del protagonista attraverso scenografie squisitamente irreali. Le frequenti ellissi temporali, i silenzi, i vuoti narrativi, sono gli strumenti per raccontare non una storia d’amore, ma un tentativo fallito di comunicare attraverso l’amore. Craig è splendido: smagrito, fragile, dimesso. La sua interpretazione è fatta di sguardi obliqui, esitazioni, scatti di rabbia che non esplodono mai. Starkey, invece, incarna un’idea quasi astratta di bellezza maschile e giovinezza perduta, forse neanche realmente desiderosa di essere amata. La fedeltà al testo originale è rispettosa ma non totale: Guadagnino e lo sceneggiatore Justin Kuritzkes (già con lui in «Challengers») cercano di dare una forma filmica a Burroughs, restituendone la deriva tossica e il senso di esclusione, e prolungando la narrazione oltre il finale del racconto. Il risultato non è certo per tutti i gusti: l’andamento è irregolare, il rischio di estetismo è costante e alcuni momenti possono apparire esclusivamente illustrativi. Ma è un’opera potente, con un protagonista vittima della dipendenza e del rimorso, dove si percepisce l’ombra della tragedia personale dello scrittore, che sparò accidentalmente alla moglie. E ha il merito raro di raccontare il desiderio maschile con franchezza, nei limiti di un prodotto comunque tendenzialmente mainstream. Un film in cui abbandonarsi, lucido, vivo. E straziante, come solo la consapevolezza della solitudine sa essere.
THE SHROUDS – SEGRETI SEPOLTI
(Canada/Francia 2024, 119 min.) Regia di David Cronenberg, con Vincent Cassel, Diane Kruger, Guy Pearce – Vietato ai minori di 14 anni
Presentato in concorso lo scorso anno al Festival di Cannes, «The Shrouds» (letteralmente “i lenzuoli”, o meglio “i sudari”) è l’ultimo lungometraggio di David Cronenberg, purtroppo distribuito in modo limitato nelle nostre sale. Il grande regista canadese (classe 1943) torna con un’opera di sorprendente intensità personale, che fonde il lutto privato con una riflessione profonda sulla tecnologia come specchio del dolore umano. Il protagonista, Karsh (Vincent Cassel), è un imprenditore vedovo che, incapace di superare la morte della moglie, sviluppa GraveTech, una tecnologia che consente ai vivi di osservare in tempo reale la decomposizione dei corpi dei propri cari defunti. Questo dispositivo, pensato inizialmente come ponte affettivo tra i mondi, si trasforma ben presto in un’ossessione che mette in crisi i confini tra amore, lutto, voyeurismo e controllo. Un giorno uno dei cimiteri dotati della tecnologia viene vandalizzato: chi è stato? E perché? È il primo indizio di una cospirazione che si insinua lentamente nella narrazione, aprendo a dimensioni paranoiche che portano la storia verso nuovi territori. La complessa architettura del film — ispirata alla necessità di elaborare il recente lutto del regista per la perdita della moglie Carolyn — si sviluppa in un’atmosfera rarefatta e sospesa, che riflette l’alienazione del protagonista. La sceneggiatura alterna dialoghi asciutti e quasi quotidiani a momenti di improvvisa intensità emotiva o ambiguità narrativa, con una struttura che fonde melodramma, fantascienza e thriller. Vincent Cassel — in un ruolo che aderisce anche fisicamente a Cronenberg stesso — offre un’interpretazione misurata e intensa. Diane Kruger, chiamata a interpretare sia la defunta moglie che la sua sorella gemella, incarna una figura ambigua e perturbante, che amplifica la confusione tra memoria, desiderio e simulacro. «The Shrouds» è, come spesso accade nel cinema cronenberghiano, un’opera sulla pelle e sull’interiorità, ma anche sull’invisibile: la morte come dato biologico e come feticcio visivo. L’ossessione per la possibilità di “vedere” la morte è il fulcro del film, che si interroga su cosa resti della nostra umanità in un mondo dove anche il lutto può essere digitalizzato e reso performativo. Non è un film facile: richiede attenzione, pazienza e una certa disponibilità a lasciarsi avvolgere dal suo ritmo dilatato. Ma per chi è disposto a compiere questo viaggio «The Shrouds» si rivela un’opera testamento, una meditazione dolente sulla decomposizione non solo dei corpi, ma della società, delle relazioni, e infine dello stesso sguardo umano. Un Cronenberg crepuscolare e radicale, che guarda la fine con occhi spalancati, e ci chiede se siamo davvero pronti a sostenerne il peso.
STREAMING – PERLE DA RECUPERARE
IL FAVOLOSO MONDO DI AMELIE – DISPONIBILE SU TIM VISION
(Le Fabuleux destin d’Amélie Poulain, Francia 2001, 120 min.) Regia di Jean-Pierre Jeunet, Audrey Tautou, Mathieu Kassovitz, Dominique Pinon, Rufus
«Il favoloso mondo di Amélie» di Jean-Pierre Jeunet è un titolo molto importante per il panorama cinematografico europeo dei primi anni Duemila. Ambientato in una Montmartre calda e colorata, credibile anche se mai realistica, il film racconta la storia di Amélie (Audrey Tautou), che scopre il piacere di aiutare gli altri attraverso piccoli gesti gentili e anonimi, anche perché il contatto con gli altri non è esattamente il suo punto forte. Il suo percorso di crescita, da un mondo di fantasia alla realtà che la circonda, è reso con una regia originale e creativa, fatta di ralenti, soggettive, inserti onirici e una voce narrante che guida lo spettatore. Ogni inquadratura e ogni personaggio concorrono a creare un quadro surreale e poetico. La celebre colonna sonora di Yann Tiersen rimane subito impressa e concorre a sottolineare il senso di meraviglia e malinconia. Amélie è un film sull’empatia, sull’importanza dei dettagli, sull’arte di osservare il mondo con uno sguardo gentile. La narrazione frammentata, fatta di micro-episodi e flashback, crea un ritmo tutto suo, dove la bellezza delle piccole cose assume un valore quasi rivoluzionario. Non a caso il film ha avuto uno straordinario successo internazionale, diventando rapidamente un fenomeno culturale. Audrey Tautou, con il suo volto espressivo e lo sguardo ironico, incarna perfettamente l’eroina moderna proposta da Jeunet: fragile ma determinata, introversa ma generosa, invisibile eppure indimenticabile. Da recuperare.
l'intervista
Celina Murga e il suo film sull'Argentina: «Racconto le fragilità di un Paese in crisi»
di Michele Bellio
La regista e sceneggiatrice argentina sarà al Festival trentino come giurata e con la sua pellicola «Destinazione… Argentina». «Martin Scorsese? Un amico e collega. Il suo supporto è fondamentale»
la nomina
Cambio di scena: Paolo Oss Noser è il nuovo direttore alla guida della rete Trentino Spettacoli
di Redazione
Per lungo tempo è stato membro del consiglio direttivo: «La strada giusta è sviluppare il rapporto con il Centro servizi culturali Santa Chiara di Trento e il Teatro Stabile di Bolzano»