L'editoriale

lunedì 9 Gennaio, 2023

«La carne e il complottismo»

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La ricerca e il continuo sviluppo tecnologico in questo settore potrebbero diminuire notevolmente l’impatto ambientale della produzione colturale

In una recente intervista al Corriere, il Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida ha affermato che durante le festività avrebbe mangiato di tutto, «eccetto la carne sintetica» (detta anche «colturale» o «coltivata»). Lollobrigida ha così ribadito la sua nota posizione contraria alla futura commercializzazione sul territorio italiano della carne prodotta in laboratorio a partire da cellule staminali di origine animale, opinione espressa già il mese scorso a supporto della mobilitazione di Coldiretti. Sulle pagine de «il T» Alessandro Quattrone ha già parlato di carne colturale, valutandone sia le opportunità – come ad esempio l’indubbia riduzione della sofferenza animale – sia i limiti: nel breve periodo scegliere di consumare carne coltivata anziché da allevamento intensivo non ridurrebbe significativamente l’impatto sugli ecosistemi, poiché per la sua produzione è necessario l’impiego di grandi quantità di energia. Nondimeno, la ricerca e il continuo sviluppo tecnologico in questo settore potrebbero diminuire notevolmente l’impatto ambientale della produzione della carne colturale. Alla luce di ciò, sembrano esserci buone ragioni per proseguire gli sforzi verso lo sviluppo di questo nuovo cibo, o quantomeno per non ostacolarne il processo di commercializzazione; se non altro perché così facendo si amplierebbero le opzioni disponibili, e quindi la libertà di scelta, dei consumatori.
Ciò che merita attenzione in questo dibattito non è soltanto il tema della carne coltivata in sé, ma anche gli argomenti espressi dal Ministro Lollobrigida, nonché il linguaggio da lui adottato, per giustificare la sua posizione. Ritengo che questi esprimano un preoccupante tratto che caratterizza l’approccio alla politica della destra, o perlomeno di una sua parte. E non si tratta della mera difesa della cultura e delle tradizioni italiane, o del protezionismo a favore di alcuni settori produttivi. Vi è qualcosa di più profondo e trasversale che non riguarda solo la carne coltivata, ma un intero modo di fare politica e di raccogliere consensi.
Ma andiamo con ordine: intervenendo a Porta a Porta, il Ministro ha recentemente affermato che «la carne sintetica è come Frankenstein» e «le aziende che si occupano di biotecnologia alimentare sono i nuovi barbari che vogliono distruggere il nostro modello di civiltà». Lollobrigida ha proseguito dicendo: «Ho visto le immagini dei prodotti venduti in Israele, ti fanno assaggiare solo se firmi una liberatoria perché nessuno è in grado di dirti se tra qualche anno ti faranno ammalare, ma c’è qualcuno che paga perché non se ne parli». Secondo il Ministro, infatti, dietro alla carne coltivata ci sarebbero gli interessi di grandi aziende farmaceutiche, player dell’informazione e magnati come Bill Gates.
Lo schema argomentativo è forse familiare a molti, ma vale la pena esplicitarlo: per screditare la carne prodotta in laboratorio, Lollobrigida afferma che il nostro modello di civiltà sarebbe minacciato da un nemico esterno appartenente alla cerchia dei poteri forti internazionali: Big Pharma, le grandi multinazionali, l’immancabile Bill Gates, ecc. Non a caso Lollobrigida ha parlato anche di «un’aggressione» da parte di chi vuole imporre questo tipo di cibo. Non importa se nessuno ha mai parlato di sostituire per decreto l’allevamento tradizionale con la carne coltivata; il solo fatto che quest’ultima possa essere un’opzione disponibile ai consumatori sarebbe un’aggressione, un’imposizione dell’élite globalista. Questo scenario, a detta di Lollobrigida, ci dovrebbe far diffidare dalla carne colturale, così come della sua sicurezza, anche perché molte informazioni ci sarebbero nascoste da chi ha degli interessi in gioco. In altri termini, poco importa se agenzie regolatorie come la statunitense Food and Drug Administration ci dicono il contrario, ci sarà sempre modo di dubitare che questi prodotti garantiscano effettivamente la salute dei consumatori. Pertanto, l’unica decisione possibile per tutelare la nostra cultura e la nostra salute sarebbe quella di proibire la carne coltivata.
A questo punto sembra piuttosto chiaro che – come già notato dalla redazione del Foglio – Lollobrigida stia utilizzando un linguaggio sovrapponibile a quello delle cosiddette teorie cospiratorie. Immuni alla falsificazione e rafforzate dalla logica circolare, creando nemici e minacce da cui proteggersi, queste teorie forniscono spiegazioni semplici per decifrare una realtà caotica, che spaventa e intimorisce. In tale prospettiva, la carne colturale ben si presta a essere oggetto di strampalate cospirazioni: questo tipo di cibo richiama alla mente gli Ogm e la modifica genetica – temi già al centro di molteplici teorie del complotto ¬– e alimenta l’ancestrale paura nei confronti di ciò che non è naturale.
Ma la carne coltivata non è il solo argomento affrontato in questi termini da molti esponenti della destra; l’utilizzo del lessico del complotto è infatti un tratto trasversale e sistematico della loro propaganda politica. Si pensi all’invasione degli immigrati e alla teoria della sostituzione etnica che minacciano la nostra identità, all’Italia permanentemente sotto attacco dei mercati e dell’Unione europea, all’obbligo vaccinale voluto dalle lobby farmaceutiche, ecc. Insomma, uno schema ricorrente che intercetta le paure, spesso irriflesse, delle persone non tanto per addomesticarle e neutralizzarle, bensì con l’obiettivo di alimentarle per guadagnare consensi. Ma così facendo si rischia di inquinare il pozzo del dibattito pubblico, impedendo ai cittadini di affrontare problemi complessi con i giusti strumenti per prendere delle decisioni nei loro interessi e nell’interesse della collettività; è poi evidente che la portata di questi rischi è ancora più grande se chi alimenta le paure è anche una forza di governo.
Il vero problema della destra sarebbe dunque da rintracciare non tanto nella sua contiguità con il fascismo, quanto nell’utilizzo del lessico del complotto per giustificare ogni alzata di scudi contro quello che si ritiene essere il sistema dominante. Questa è una delle interessanti tesi del libro di Claudio Cerasa, «Le catene della destra» (Rizzoli, 2022), in cui l’autore supporta tale posizione con una lunga carrellata di dichiarazioni dei maggiori esponenti della destra italiana, e non solo, dimostrando come il rapporto tra questa parte politica e il linguaggio cospiratorio sia molto più profondo e pervasivo di quanto si pensi. Se va riconosciuto che generalmente i toni si sono ammorbiditi dopo l’insediamento dell’attuale governo, dichiarazioni come quelle di Lollobrigida attestano che la fascinazione per le teorie del complotto di una certa destra è più vivo che mai.
Se la destra di governo vuole davvero risollevare il Paese, allora deve spezzare le catene che la legano al complottismo; deve smettere di usare le paure per raccogliere consenso e cominciare a cogliere le opportunità del progresso scientifico-tecnologico che le sarebbero altrimenti precluse se continuasse a inventarsi nemici immaginari e facesse credere ai cittadini di vivere in un permanente stato d’assedio. Perché non è in questo modo che si tutela lo sviluppo del Paese, men che meno si proteggono gli interessi degli italiani.