La storia
venerdì 13 Gennaio, 2023
di Paolo Morando
Scrivere oggi di Eugenio Pellegrini, della sua breve ma intensa esistenza di giornalista ed editore, significa ripercorrere una lontana stagione dell’informazione e della cultura in Trentino: quando proprio Pellegrini, formidabile outsider, vi portò una ventata di coraggio e di indipendenza che mai fino quel momento si era vista. Erano gli anni Ottanta e proprio all’alba del decennio fu tra i fondatori della rivista «Questotrentino», allora quindicinale, mentre un pugno di anni dopo creò dal nulla una casa editrice, «Publiprint», che si segnalò a livello nazionale per libri-inchiesta contro ministri del calibro di Paolo Cirino Pomicino e Francesco De Lorenzo. Volumi di grande successo, al punto che i due potenti iniziarono a essere ribattezzati un po’ ovunque proprio come già avevano fatto i titoli di quei libri: «o ministro» e «sua sanità». E segnò il suo tempo, con più ristampe, anche L’attentato: cioè la strage di Pizzolungo, nel Trapanese, a cui scampò l’allora magistrato Carlo Palermo.
A quella di «Publiprint» seguì un’altra avventura, il marchio «l’Editore», di raffinate ambizioni letterarie e artistiche. Fino a quando un incendio, ed era la notte tra il 10 e l’11 settembre 1994, ne distrusse il magazzino: un rogo, così stabilì la giustizia, appiccato o fatto appiccare dallo stesso Pellegrini per riscuotere l’assicurazione, in un momento in cui la sua parabola di editore era segnata soprattutto da difficoltà finanziarie. La storia finì lì, malamente. E su Pellegrini calò una sorta di «damnatio memoriae»: nel senso che su quanto di buono aveva realizzato, ed era moltissimo, con il passare degli anni il silenzio imbarazzato (specie da parte di chi non gli era stato amico) divenne una costante. La sua morte, il 3 ottobre 2018 per un infarto ad appena 59 anni, fece il resto.
A rievocare quella appassionante stagione editoriale e giornalistica, ma soprattutto a ricordare un uomo che lo merita, è ora un libro della fondazione Museo storico del Trentino: Eugenio Pellegrini. Biografia di un progetto editoriale. L’autore è Davide Leveghi, ricercatore della fondazione, e il suo è un lavoro meticoloso e capillare su una figura complicata e su cataloghi bibliografici, quelli della «Publiprint» prima e de «l’Editore» poi, che lo sono altrettanto, perché sviluppatisi su misura del loro artefice, Pellegrini appunto, inarrestabile fucina di idee impegnato in mille direzioni (anche per far quadrare i conti). Per questo il volume si compone di più contributi, a partire dai testi introduttivi di padre Alex Zanotelli (su cui si dovrà tornare) e del giornalista Alberto Folgheraiter, e quelli conclusivi di Elisa Filippi, sull’ultimo periodo roveretano di Pellegrini, e dello stesso padre dell’editore, Tomaso, particolarmente toccante. E poi una ricca appendice documentaria, dove spicca il botta e risposta tra «Questotrentino» e Mariano Volani, oggetto nel 1982 di un’inchiesta della rivista che segnò l’inizio del tramonto dell’imprenditore, allora molto in auge. Il tutto in poco più di cento pagine: per dire della densità del libro.
Il lavoro è durato due anni ed è partito da un’idea di un gruppo di amici di Pellegrini, il giorno stesso del suo funerale. Lo racconta Folgheraiter, citando Marcello Farina, Vincenzo Passerini, Aldo Marzari, Fulvio Gardumi, Domenico Sartori, Maurizio Agostini, Walter Nicoletti, Elisa Filippi e Danilo Curti: venne raccolto del denaro per finanziare una borsa di studio per una ricerca, poi affidata a Leveghi, giovane laureato in storia contemporanea, che «ha pienamente onorato la missione affidata». Mentre Pellegrini «avrebbe sicuramente da dissentire. Perché ha sempre vissuto da Bastian contrario. Anche contro se stesso. Eppure gli abbiamo voluto bene». E nel ricostruirne l’accidentato percorso professionale e di vita, anche Leveghi deve esserglisi affezionato, un po’ come accade a ogni biografo. Lo si capisce fin dalle prime righe: «Divoratore letterario, con alle spalle un diploma da congegnatore meccanico, aveva trasformato la sua sete di conoscenza in uno strumento di indagine della realtà e di lotta alle ingiustizie, dapprima con una voce fuori dal coro nel trentino monolitico della Democrazia cristiana e poi con un marchio editoriale altrettanto battagliero».
Nato a Bolzano nel 1958 e cresciuto a Cognola, Eugenio Pellegrini lasciò il liceo classico Prati già in quarta ginnasio: Trento gli stava stretta al punto di inventarsi fioraio a Innsbruck. Poi, ventenne, il diploma all’Enaip, dove venne anche eletto nel coordinamento studentesco degli istituti professionali. Ma aveva già iniziato a scrivere nel 1976, su «Uomo città territorio». Poi il trasferimento a Roma, ad apprendere il mestiere al «Manifesto» di Valentino Parlato, quindi il ritorno a Trento e la fondazione, assieme a Michele Zacchi, di »Questotrentino». E furono anni di inchieste a testa bassa contro i potenti. Poi il divorzio, con Pellegrini che pensava a una ulteriore «professionalizzazione» di QT (lo voleva settimanale). E quindi l’avventura di «Publiprint», che pubblicò anche libri importanti sulla tragedia di Stava e sulla strage di Ustica. Ma il successo maggiore fu, nel 1987, quello di La morte promessa: armi, droga e fame nel terzo mondo: un’intervista a padre Alex Zanotelli curata da Antonio Del Giudice, allora caporedattore di «Repubblica», che portò Pellegrini e il missionario comboniano (appena allontanato dalla direzione di «Nigrizia») in giro per tutta Italia in presentazioni affollatissime. E scrive oggi Zanotelli: «Una delle cose che mi ha sempre impressionato di Eugenio è stato il suo incredibile coraggio. In quel periodo mi portò una volta a casa sua. La mamma e il papà lo guardavano increduli. Mi hanno abbracciato e mi hanno ringraziato perché – mi hanno detto – da quell’amicizia era venuto fuori “un Eugenio che non conoscevamo”».
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