La protesta
mercoledì 25 Gennaio, 2023
di Leonardo Omezzolli
Sono 189 le firme delle maestre delle scuole dell’infanzia provinciali e federate della Val del Chiese, Valle dei Laghi, Alto Garda, Giudicarie, Ledro e Val di Cavedine che si trovano apposte in calce al comunicato stampa rivolto alla Provincia in merito alla decisione di confermare un calendario di 11 mesi. Un gruppo corposo e non isolato perché in tutta la provincia si stanno susseguendo una serie di incontri tra maestre per rimarcare ancora una volta quanto la scuola dell’infanzia sia «scuola e come tale abbisogna di un suo tempo, all’interno di un contesto regolato da ritmi ben precisi e di un tempo di riposo, all’interno di contesti meno strutturati e meno impegnativi». È forte la presa di posizione delle maestre che negli ultimi anni a più riprese e in più ambiti si sono sentite non coinvolte nei percorsi decisionali, apprendendo di modifiche e cambi programmi dagli organi di stampa senza un confronto partecipato o quantomeno una comunicazione interna efficace. Le maestre hanno espresso un senso di spaesamento e la necessità di comprendere fortemente quale sia l’idea di scuola dell’infanzia che ispira le scelte della politica, «scelte (o non scelte) che si stanno traducendo in decisioni che sviliscono il ruolo e la funzione di un’istituzione riconosciuta da anni, come scuola fondamentale per la crescita e lo sviluppo dei nostri bambini». L’affondo delle insegnanti prosegue nel merito delle decisioni intraprese in questi giorni e ancor più negli anni passati dalla giunta provinciale che di stagione in stagione ha intensificato un atteggiamento valutato non consono dal comparto scolastico.
«Le scelte politiche attuate negli ultimi anni e calate dall’alto senza il benché minimo confronto ci disorientano e dimostrano chiaramente che si vuole smantellare il modello di Scuola Infanzia trentina che ha sempre funzionato e che è stato riconosciuto anche a livello nazionale come un’eccellenza all’interno del sistema educativo scolastico. La scuola dell’infanzia – si legge nel comunicato – sta diventando sempre di più un servizio conciliativo che tiene in considerazione aspetti di tipo economico, demografico e di welfare familiare, non tenendo in nessuna considerazione il parere di pedagogisti e psicologi».
Nessun confronto con esperti e nessun parere “scientifico” ma solo decisioni politiche di razionalizzazione economica. «Nelle nostre scuole – proseguono le maestre – i bambini sono coinvolti in percorsi di apprendimento che impegnano la loro capacità di attenzione, di scambio, di relazione con gli adulti di riferimento e con i pari. Ogni anno viene infatti, predisposto un progetto educativo-didattico costruito sulla base delle indicazioni fornite dagli Orientamenti Provinciali, testo di riferimento per la nostra realtà trentina. In essi si sottolinea che la scuola dell’infanzia rappresenta uno dei segni più incisivi dell’attenzione di una comunità sociale per l’educazione delle nuove generazioni». Secondo le maestre la percezione diffusa e percepita rispetto alle decisioni politiche, subite e non partecipate, è quello di un ruolo secondario non sottoposto, invece, ad una «dignità professionale legittimata agli altri ordini di scuola» ricordando che per insegnare alla scuola dell’infanzia è previsto, dal 2002, un corso di laurea magistrale quinquennale in scienze della formazione primaria, comprensivo di tirocinio. La rivendicazione delle insegnati, riunitesi nel far valere le proprie posizioni alla giunta provinciale, sono precise: lasciare alla scuola dell’infanzia il ruolo che le compete senza stravolgere il comparto dell’insegnamento 3 – 6 anni forzandone la mano didattica oltre che puntando ad un mero sostegno e aiuto familiare che le stesse maestre non vogliono rinnegare. «Noi insegnanti – chiosano – pur condividendo pienamente che la politica debba dare risposte alle famiglie, attraverso iniziative concrete di sostegno per la promozione di un adeguato welfare, difendiamo con forza che alla scuola dell’infanzia venga attribuito il suo specifico valore di scuola e non quello di servizio conciliativo. Attraverso il riconoscimento da parte della politica della sostanziale differenza tra queste due distinte realtà, passa il diritto dei nostri bambini di vedere riconosciuto il valore e la specificità della loro scuola».