chico forti

venerdì 19 Gennaio, 2024

⁠Chico Forti, lo zio assicura: «Meloni segue la sua causa»

di

I coniugi Andrea Bocelli e Veronica Berti erano tornati su «il T» a chiedere l’estradizione. A ostacolare il trasferimento una catena di episodi e di errori, anche di comunicazione, a cominciare dall’annuncio, il 23 dicembre 2020, dell’allora ministro degli esteri Di Maio

Compirà anche i 65 anni in un carcere della Florida, il trentino Chico Forti. Da 25 anni sta scontando la pena dell’ergastolo «finché morte non sopravvenga», mentre tutti i documenti e le testimonianze raccolte in un volume di 828 pagine, edito nel 2022, dicono che l’italiano è all’ergastolo «Senza prove», come ha titolato il testo Rita Cavallaro, l’autrice.
Nell’edizione di ieri de «il T», i coniugi Andrea Bocelli e Veronica Berti, che di recente sono andati a trovarlo in carcere, hanno raccontato la loro amicizia con Chico Forti. «Facciamo voti – dicono – che Chico possa essere estradato in un carcere in Italia dove la mamma, Maria, che ha 96 anni, potrebbe andare ad incontrarlo».
La vicenda umana e giudiziaria di questo italiano che ha ancora la residenza in piazza General Cantore, a Trento, è nota. In suo supporto, almeno psicologico, sono sorti comitati, sono stati dedicati incontri, raccolto denaro. Ogni mese, da 25 anni, un gruppo di amici provvede ad inviargli in carcere almeno 300 dollari per le necessità più impellenti: «le scarpe, le calze, una maglietta, le mutande, perché non gli danno assolutamente nulla». La famiglia ha speso tutto ciò che possedeva. Inutilmente. Lo ammette lo zio, Gianni Forti, oggi ottantenne, fratello di Aldo il papà di Enrico (chiamato Chico) morto di crepacuore nel 2001 dopo la sentenza di condanna all’ergastolo («Colpevole di omicidio di primo grado a scopo di lucro»).
Finora gli appelli di personalità dello sport, della musica e delle migliaia di sostenitori, così come l’intervento reiterato delle autorità italiane nulla hanno potuto contro il diniego del governatore della Florida ad un trasferimento del detenuto in un carcere italiano.
A ostacolare il trasferimento una catena di episodi e di errori, anche di comunicazione, a cominciare dall’annuncio, il 23 dicembre 2020, dell’allora ministro degli esteri Di Maio: «Ho una bellissima notizia da darvi: Chico Forti tornerà in Italia. L’ho appena comunicato alla famiglia e ho informato il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio. Il governatore della Florida (De Santis) ha infatti accolto l’istanza di Chico di avvalersi dei benefici previsti dalla Convenzione di Strasburgo e di essere trasferito in Italia».
Pareva questione di giorni. Sei mesi dopo, Gianni Forti lo zio di Chico si chiedeva: «Dove sono le carte per l’espatrio promesse da Di Maio»?
Nel frattempo, due settimane dopo l’annuncio giulivo del Ministro degli Esteri italiano, negli Stati Uniti c’era stato il tentativo di insurrezione con l’assalto a Capitol Hill, il 6 gennaio 2021, dei sostenitori del presidente Donald Trump il quale avrebbe dovuto, suo malgrado, lasciare il posto al nuovo presidente democratico Joe Biden.
Ammette oggi Gianni Forti che «a quel punto, da giudiziaria che era la questione è diventata politica. Le promesse di un repubblicano non sarebbero mai state avallate da un democratico; urgevano altri temi nell’agenda americana e sullo scacchiere internazionale».
E il «caso Forti» è rimasto al palo. Come le luci di Natale, a intermittenza, ogni tanto si riaccende l’attenzione dei media su una vicenda che rischia di replicare la tragedia di Sacco e Vanzetti, gli anarchici italiani condannati per una rapina mai commessa e uccisi sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927. Furono riconosciuti innocenti cinquant’anni dopo.
«Oggi è inutile andare a rivangare gli errori, le omissioni, il processo. Dobbiamo partire da oggi. Gli americani non ammetteranno mai di avere sbagliato, non lo hanno ammesso nemmeno con Sacco e Vanzetti».
Gianni Forti, da 25 anni lei si batte come un leone per far tornare in Italia, in un carcere italiano, suo nipote. A che punto è la sua battaglia?
«Sono in contatto costante con la presidente del Consiglio, Meloni, con il ministro di Grazia e Giustizia, Nordio, i quali mi hanno confermato più volte di avere sul tavolo il caso di Chico. Non resta che sperare che prima o poi qualcosa si sblocchi».
Lei è stato negli Stati Uniti almeno cinquanta volte in tutti questi anni. Da quando non vede suo nipote?
«Dal 2018 perché posso incontrarlo solo per pochi minuti e solo due volte in settimana. Meglio sentirlo qualche volta al telefono o, più spesso, via email. Se fosse da andare ad accoglierlo all’uscita del carcere sarei già partito, ma adesso gli anni si fanno sentire anche per me: sono più di ottanta».
Lei lo può chiamare al telefono?
«No, può chiamare lui, una volta la settimana, il lunedì, e solo per cinque minuti uno dei numeri che sono stati comunicati alla direzione del carcere. Sua mamma Maria ha 96 anni ed è giusto che parli con lei. Per le cose urgenti o per gli auguri è molto più semplice usare il computer».
Chico è informato su ciò che accade fuori dal carcere?
«Chico si tiene informato, ascolta la radio italiana via web, legge articoli di giornale che gli mando, compreso quello di ieri del “T”. Sa che stiamo facendo di tutto e questo lo conforta molto».