L'INTERVISTA
mercoledì 22 Febbraio, 2023
di Simone Casalini
Il terzo polo non ha sfondato gli argini del bipolarismo nelle ultime elezioni regionali in Lombardia e Veneto, ma Carlo Calenda – leader di Azione, alleato con Italia Viva di Matteo Renzi – abbassa il livello di tensione. «Le Regionali sono, per noi, centro riformatore, il banco di prova più complesso perché non c’è voto di opinione» analizza l’ex ministro che si è concesso qualche giorno di sci in Trentino. «Le elezioni provinciali di ottobre? Il governatore uscente Fugatti è battibile. La coalizione deve trovare la sua coesione, il Pd attraversa una fase delicata. Eviterei le primarie per scegliere il nostro candidato presidente» prosegue. Stasera (ore 20.30, Grand Hotel) presenterà il suo ultimo libro («La libertà che non libera», La nave di Teseo) a Trento.
Onorevole Calenda, il suo ultimo libro – «La libertà che non libera» – non parla di politica in senso stretto, ma rimane sul piano etico e filosofico. E analizza un tratto della parabola discendente della cultura occidentale.
«Non volevo occuparmi di una contingenza politica. Il libro esprime una tesi sul declino dell’Occidente, ossia siamo una società a cui interessa solo la libertà individuale. Non riconosciamo più il principio che esistono doveri reciproci. La vita così si riduce ad una continua ricerca di intrattenimento. Intrattenimento e lavoro, è scomparsa la dimensione dell’impegno civile».
Limite è una delle parole chiave…
«Parto da un esempio semplice. In Italia, mediamente, si comincia ad avere il primo smartphone a nove anni. A undici i ragazzini passano cinque ore e mezzo al telefono. Non leggono più, iniziano a manifestare patologie fisiche come i disturbi dell’alimentazione. Eppure i genitori non riescono ad evitarlo perché abbiamo ripudiato la ricerca di ciò che è giusto e sbagliato. Quando una società si comporta così significa che sta morendo».
Lei accusa la politica di essere diventata un fatto di consumo, di intrattenimento.
«C’è una netta sovrapposizione, oggi, tra politica, informazione e intrattenimento tanto che il Festival di Sanremo è diventato un agone politico più che il luogo d’elezione della musica. I politici sono diventati come influencer, durano due anni prima di lasciare il passo ad un nuovo leader. Il Movimento 5 stelle, Salvini e ora vedremo quanto resisterà Giorgia Meloni. Nessuno vota più per la competenza e la professionalità. Ma si scelgono il numero di follower, la simpatia. La delusione e il fallimento sono dietro l’angolo e bruciano leadership in serie».
Situa la deriva politica negli anni Ottanta, convergendo su una tesi molto diffusa. Ma come lo motiva?
«La caduta del comunismo ha fatto sì che il liberalismo non fosse più moderato. Si è affermata l’idea che lo Stato dovesse essere più leggero possibile. E che l’unico obiettivo fosse quello di soddisfare sé stessi. Margaret Thatcher arriva a teorizzare che la società non esiste. Internet e i social network sono stati un grande acceleratore di questo processo. Molti hanno cominciato a desiderare di votare persone simili a loro e non più leader politici. La definisco “politica specchio”: la volontà di votare qualcuno che ci ricorda noi al bar di mattino. In Italia c’è un analfabetismo funzionale altissimo. L’Ocse lo rileva al 33%, De Mauro lo elevava addirittura al 60%. Non ci sono più strumenti, è così che la politica diventa Fedez».
Lei non ha dato un giudizio ideologico sul governo Meloni e all’inizio ha sorpreso un po’ tutti. Oggi che bilancio e giudizio dà della leader di Fratelli d’Italia?
«Guardi, io ho cercato di ristabilire un minimo di grammatica delle relazioni. Non posso affrontare il mio avversario politico affermando che la sua manovra finanziaria è carente se prima non spiego cosa farei io. Siamo circondati da tifosi e influencer, mentre dovrebbe essere la professionalità a guidare la politica. Detto questo, Meloni mi ha deluso perché ancora non è chiaro cosa pensi su molti temi: scuola, impresa e sanità, quest’ultima è la vera emergenza in Italia. Ci si concentra sul decreto rave che non è una priorità. Sul Superbonus ho condiviso la scelta di chiudere i rubinetti perché la cessione del credito ha creato un buco nelle casse dello Stato di 120 miliardi. Però l’ha eseguita male perché occorreva individuare una soluzione transitoria per chi è in mezzo al guado dei lavori».
Alle ultime Regionali, in Lombardia e Lazio, il Terzo polo ha fatto fatica ad affermarsi. Solo un test fallito o ne trae conseguenze più estreme?
«Per noi le elezioni regionali sono il voto peggiore in assoluto. Siamo un centro riformatore che pesca nel voto d’opinione, mentre le regionali tendono a polarizzare la competizione tra destra e sinistra. Ci vuole tempo».
Il Pd celebra domenica le sue primarie: Bonaccini o Schlein?
«Con il governatore dell’Emilia Romagna abbiamo sicuramente più idee in comune, dagli investimenti all’energia. Dopodiché il problema non sono i due candidati, ma lo strabismo del partito: metà guarda al M5s e metà a noi. Il Pd rischia di non potere mai dire niente».
In Trentino-Alto Adige ci saranno in autunno le elezioni provinciali. Il tavolo dell’Alleanza democratica per l’Autonomia è sospeso in attesa che termini la fase congressuale del Pd. E Azione è dentro. Che idea si è fatto?
«È una fase delicata, vediamo come si concluderà il congresso del Pd. Mario Raffaelli, che è anche il nostro responsabile nazionale degli enti locali e mio braccio destro, ha tutta l’autonomia per decidere».
Sarebbe favorevole a primarie per scegliere il candidato presidente?
«Quando si costruisce una coalizione ampia il sistema delle primarie è sbagliato, a mio avviso».
Una delle ipotesi emerse come candidato presidente è il sindaco di Rovereto, Francesco Valduga.
«Credo siano discorsi prematuri, il tavolo di coalizione deve costruire le convergenze».
Nel centrodestra sono volati stracci tra Fratelli d’Italia e il resto della coalizione sulla ricandidatura del governatore uscente Maurizio Fugatti. La valutate come una partita aperta?
«Assolutamente, Trento non è Roma e le dinamiche di voto sono assai diverse anche rispetto all’orientamento nazionale. Questo governo è già in difficoltà e molto diviso al suo interno».
A Trento si sta discutendo dell’inceneritore con le resistenze del caso…
«Ma perché? Le emissioni di un termovalorizzatore equivalgono ad una strada di campagna…bisogna sempre pensare alle soluzioni migliori in base alle condizioni date».
L’Autonomia differenziata ha avuto una lettura ambivalente in Trentino-Alto Adige, terra della specialità. E molto critica a sud. Cosa ne pensa?
«Credo sia sbagliata soprattutto per il nord perché creerà un gigantesco intoppo amministrativo. Le competenze verranno duplicate e cresceranno burocrazia e costi. Il tema sbandierato ai referendum per avere consenso, cioè la diminuzione delle tasse, rimarrà lettera morta».