la storia
giovedì 2 Marzo, 2023
di Sara Alouani
Treccioline in stile Snoop Dogg e un piercing sulla guancia, entra nella nostra redazione con passo deciso e un’aria da duro, nei suoi appena vent’anni, quasi come fosse appena uscito da un ghetto del Bronx americano. È Elsio Nunes, rapper di uno dei quartieri di Trento Nord, Canova, come ci ricorda orgogliosamente, ma nato a Verona da mamma e papà originari della Guinea Bissau. Nunes, così si fa chiamare in arte, ci racconta del suo percorso artistico e di cosa l’abbia portato a voler rappare, anche se dopo un breve dialogo con il cantante si può già cogliere come per lui sia più facile esprimersi a barre su una base musicale che attraverso il racconto a parole.
Perché ha scelto di cantare e come ha iniziato?
«Ho iniziato da un paio di anni. Ho conosciuto dei ragazzi che facevano questo da un po’ di tempo e che mi hanno introdotto nel mondo del rap. Io ho provato a cimentarmi, così, per seguirli ed ho visto che mi veniva anche abbastanza bene, ero bravo. Ho iniziato a seguire questa strada e mi sono lasciato ispirare da rapper molto giovani ma che ormai sono affermati e vantano di milioni di visualizzazioni come Medy e Rondo. Entrambi vengono da città più grandi, rispettivamente da Bologna e Milano ma siamo coetanei e questo mi ha spronato. Mi sono detto: se ce l’hanno fatta loro, ce la posso fare anche io».
Quindi vuole sfondare in questo campo?
«Certo. Il mio sogno è tenere concerti live, diventare famoso e fare soldi, avere belle macchine, comprare ciò che voglio, cosa che prima non riuscivo a fare».
Si spieghi meglio. Pare che comunque ci sia una storia dietro a tutto questo.
«Quello che racconto nei miei pezzi è la mia storia, vissuta in prima persona. So che chi mi ascolta non ha passato quello che ho passato io e voglio spiegarlo rappando, soprattutto ai ragazzini di oggi. Sono cresciuto in un contesto di povertà. Dopo la separazione dei miei genitori mi sono trasferito a Trento con mia madre e mio fratello maggiore: vivevo in un appartamento di 36 metri quadri mentre vedevo i miei compagni e amici vivere in case molto più grandi della mia. Poi, per problemi familiari, sono dovuto andare a vivere con mia zia a Port’Aquila, poi ancora una volta mi sono dovuto spostare a Canova dove dall’età di 10 anni ho vissuto con mia nonna ed i miei cugini. È proprio qui che ho iniziato a capire che ero diverso ma non ero solo. C’erano altri ragazzini che vivevano come me, che giravano con le scarpe bucate e non vestivano di marca. Loro capivano cosa significasse tornare a casa da scuola ed essere solo. A Canova, finalmente, mi sono sentito a casa ma non solo: per me questo quartiere è stato anche una scuola di vita, per questo ne parlo nelle mie canzoni».
Nei suoi brani tratta molto il tema della malavita. Se sono autobiografici significa che ha dovuto fare i conti anche con quella?
«In adolescenza, diciamo dall’inizio delle superiori, sono finito in un brutto giro. La povertà aveva iniziato a pesarmi ed io, crescendo, prendevo sempre più coscienza della mia situazione e volevo trovare una via d’uscita, sbagliando. Ho iniziato a marinare la scuola molto spesso, non ci andavo praticamente mai. Avevo solo un chiodo fisso: fare soldi e pensavo solo a quello. A 15 anni sono stato espulso definitivamente dall’istituto alberghiero di Levico, mi sono iscritto al Pertini ma sono durato poco, me ne sono andato dopo qualche mese. Ormai non avevo la testa per fare altro. Dopo un periodo sulla cattiva strada ho iniziato a cantare».
Ha mai lavorato?
«Si, ho fatto il cameriere ma non è nelle mie corde. Rispetto immensamente chi fa questo tipo di lavori ma io non voglio ritrovarmi a fare il cameriere a quarant’anni. Chi lo fa è forte. Io vorrei poter vivere di rap».
Come scrive i suoi testi?
«Generalmente prima trovo una base che mi piace poi scrivo il testo su quel ritmo ma devo essere ispirato, non mi siedo e scrivo, è una cosa che viene naturale, seguo il flow, soprattutto se sono felice e magari in compagnia di qualche amico. Se viene fuori una bella strofa, poi, mi gaso. Capita anche che scriva quando sono arrabbiato ma in quel caso scrivo otto barre poi mi blocco e non riesco a concludere. Il pezzo viene da sé, la parte più difficile è la produzione».
Come funziona una volta che si è scritto un pezzo?
«Prima di tutto bisogna andare in studio per registrare ed è un servizio a pagamento. Il secondo step è girare il video ed è un processo molto costoso, mettici il mixaggio, la masterizzazione e la promozione sulle piattaforme di musica, in totale costa circa 1000 euro produrre un pezzo fatto e finito. Per questo ho ancora molti inediti nel cassetto che non sono ancora usciti. Chi ha amici nel campo, chiaramente, è più avvantaggiato».
È per questo motivo che molti rapper fanno dei featuring?
«Sì. Così facendo dividiamo i costi e riusciamo a produrre più di una canzone».
Tra rapper in Trentino vi conoscete? Ho l’impressione che esistano dei gruppi sul territorio divisi in varie zone, forse in quartieri. È così?
«Ci conosciamo tutti, quando eravamo più piccoli ci frequentavamo molto spesso, eravamo amici. È rimasto molto rispetto tra di noi, ci salutiamo quando ci vediamo agli eventi ma non siamo più una compagnia. Anche la pandemia ha giocato un ruolo fondamentale nello sgretolamento del gruppo ma il problema principale è che pensiamo tutti a fare la stessa cosa: a sfondare. È una gara e c’è molta rivalità tra noi ma anche tra i quartieri. Ci sono gruppi a Canova, San pio X, Spini di Gardolo, Rovereto, Villazzano, Bolzano e ci si snobba, un po’ in stile americano come se un quartiere valesse più dell’altro. A me piacerebbe molto poter fare un unico gruppo con tutti. L’unione fa forza e sono certo che se ci supportassimo l’un l’altro arriveremmo in alto molto più velocemente. Paradossalmente quando c’è una rissa arrivano in 50, quando si parla di musica ognuno guarda nel proprio piatto. Non ci supportiamo a vicenda, non ci facciamo pubblicità, anzi, se qualcuno pubblica una nuova canzone raramente altri rapper la postano sui social per farla girare. Insomma, ti vogliono broke».
Il 27 gennaio è uscito il nuovo singolo «Ready», in featuring con Pariss G che è di un altro quartiere, di San Pio X, come lui stesso ripete orgogliosamente in una delle sue canzoni. Alla fine, è riuscito a riunire due gruppi di due zone diverse. Che significato ha per lei questo brano?
«Si, lui è mio amico, per questo siamo riusciti a fare una canzone insieme. Avevamo già cantano insieme ed inciso un brano qualche tempo fa ma non avevamo i mezzi per lanciarlo, come spiegavo prima, non è un processo economico. Siamo ready, siamo pronti al successo e alla svolta. Voglio cambiare la mia vita, è una sorta di rivalsa sul mio passato, voglio migliorare me stesso. È un pezzo che merita e che lancia un messaggio di unione, in questo caso tra San Pio X e Canova che hanno cantato insieme e hanno riunito i ragazzi di questi due quartieri per girare il video. La cosa positiva è che grazie a questo progetto siamo riusciti anche a sanare delle discordie che si erano create tra alcuni membri delle diverse fazioni. La musica alla fine unisce tutti».
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