musica
giovedì 23 Marzo, 2023
di Sara Alouani
Filippo D’Andrea, Davide Caligiuri e Amir Moussa rispettivamente di 19, 24 e 25 anni sono i tre fondatori perginesi di Plug Wave, uno studio di produzione con sede a Levico Terme che ha tutte le carte in regola per diventare una casa discografica di livello.
Lo studio e il giro internazionale
Ragazzi figli d’arte, con la musica che scorre nelle vene, lo zio di Filippo è un direttore d’orchestra, il padre di Davide è un fisarmonicista. «Abbiamo iniziato ognuno per conto proprio, in modo amatoriale – spiega Filippo– inizialmente producevamo musica, chi nella propria stanza chi in cantina, finché un progetto di coproduzione con altri musicisti ci ha fatti incontrare». Ed è scattata una vera e propria scintilla artistica fra i tre che, sorpresi uno dalle creazioni dell’altro, hanno deciso di costruire un progetto di più ampio spettro e, quindi, di aprire uno studio di registrazione in società, a disposizione di artisti inizialmente trentini ma che oggi viene contattato da artisti nazionali ed internazionali. «Plug Wave»: un occhio che nella pupilla ha una spina elettrica, questo il nome e logo dell’etichetta scelta dai tre producer fondata nell’aprile 2021, complice anche la pandemia che ha permesso loro di stare ore e ore in videochiamata a pensare e costruire il progetto nei minimi dettagli, ivi compreso il significato del nome. «La parola ‘plug’ nel dizionario urban –spiega Filippo– è la persona che ha tutto quello che cerchi, spesso viene accostata agli spacciatori. Noi siamo spacciatori di musica –sorride– che portano una nuova ondata (wave) di freschezza nel panorama artistico trentino».
Produttore, figura centrale
Ma che cosa fa un produttore? In un’era in cui la musica rap ha via via conquistato il mondo della musica italiana la figura del produttore si è sempre più affermata a fianco degli artisti, infatti, seppur sembri che ricopra un ruolo secondario nei brani «è tutt’altro che secondario –afferma Davide e continua–. È il direttore artistico che costruisce lo spettacolo e rimane dietro le quinte ma continua a dirigere la sessione fino alla fine e non abbandona mai l’artista». Più nel dettaglio, in ordine cronologico, un produttore si occupa del «beatmaking»: creare una base musicale strumentale partendo da zero che inizialmente è caratterizzata da ritmi. Successivamente, compone la melodia e come ultimo passaggio aggiunge strumenti per completare il brano. Chiaramente tutto a orecchio e utilizzando un computer e una scheda audio. Gli strumenti musicali, ormai, pare proprio che non servano più, anzi, a detta dei ragazzi, al giorno d’oggi le nuove tecnologie permettono di produrre suoni che un umano non potrebbe mai eseguire con uno strumento o con la voce.
La vendita della «base»
«Una volta completata la base –spiega Filippo– esistono due strade: nella prima, il ‘beat’ viene messo a disposizione per l’acquisto su piattaforme online, nel nostro caso BeatStars. Nella seconda, viene assegnata a un artista per creare una canzone fatta e finita». In quest’ultimo caso, quindi, il lavoro del produttore continua, poiché dovrà seguire la registrazione della voce del rapper prescelto, effettuare il «mix e master» della canzone, quindi, rifinire il prodotto e seguire la parte della registrazione del video che viene eseguito da Moisy, il «videomaker» che collabora con l’etichetta Plug Wave. Al momento il «roster», la lista di rapper affiliati, è composto da cinque artisti trentini selezionati dallo studio di Levico che, comunque, rimane aperto a tutti gli artisti che vogliano collaborare ma ai quali viene chiesto un compenso per il servizio.
Le tre hit
Proprio grazie alle tre hit «Ekip9», «Barrio» e «Sergio Tacchini», cantate da alcuni rapper dell’etichetta, Plug Wave è finita ben tre volte su «Raptopia», la playlist di Spotify dedicata allo stile «urban» dove vengono inseriti artisti underground emergenti di tutta Italia. Plug Wave non ha solo solleticato il mercato nazionale ma Filippo, Davide e Amir sono stati anche contattati da produttori internazionali, in particolare americani, che dopo aver ascoltato i loro brani hanno chiesto uno scambio di «loop», ovvero, di melodie. Un passo importante che avvicina Plug Wave all’obiettivo di diventare una casa discografica a tutti gli effetti «utilizzando la musica come strumento potentissimo per collaborare e creare contatti con persone che condividono la stessa visione per portare lo stile undergroud fuori dai confini del Trentino».
Il nodo del genere
Non passa inosservato, però, un dettaglio: non compare mai il nome di una donna, né tra i produttori né tra gli artisti e Filippo prova ad interpretare il motivo di questa assenza: «In Italia, differentemente da altri Paesi come la Francia o gli Usa, nello stile urban mancano artisti donna di spicco che possano essere un riferimento per le rapper che vogliono cominciare» quindi, le neofite dovrebbero sempre prendere spunto da uomini e questo, oltre a non essere facile, potrebbe anche essere alquanto scoraggiante.
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