La storia
sabato 5 Novembre, 2022
di Vittorina Fellin
Ruffrè Custodire il patrimonio, promuovere il lavoro, salvare produzioni alimentari destinate all’abbandono, aiutare l’ambiente. Non sono ambizioni, ma l’impegno che Jessica Larcher, 24 anni appena, si è presa con il proprio territorio e con se stessa.
Siamo a Ruffrè, un paesino sparso che conta poche case, a ridosso del passo Mendola, terra di confine a due passi dall’Alto Adige. Da qui l’affaccendata Valle di Non sembra un miraggio e le distese di meleti un’immagine che si perde nello specchietto retrovisore dell’auto mentre si percorrono le ultime curve che portano al paese.
Come in molte comunità di montagna, qui il problema principale è lo spopolamento: i giovani si spostano per studio o lavoro verso centri più importanti lasciando la montagna a invecchiare. Larcher invece ha deciso di restare per coltivare la terra e investire con coraggio nell’agricoltura di montagna.
Dopo essersi messa in tasca un diploma da perito agrario, ha preso in mano le redini dell’azienda di famiglia, fondata dal padre più di vent’anni fa e ne ha fatto il suo sogno. «Mentre studiavo già accarezzavo il sogno di un’azienda tutta mia e con l’aiuto della mia famiglia ho iniziato a mettere a dimora qualche pianta e a recuperare prodotti coltivati anticamente in questo territorio, come il grano, la segale e l’orzo. Poi è arrivato un piccolo mulino, recuperato all’ultimo da dei vicini di casa che lo stavano dismettendo e grazie alle mani sapienti di mio padre è tornato a fare il suo dovere», racconta con gli occhi ancora pieni di entusiasmo.
È nata cosi l’azienda agricola Baita Plazuela, in omaggio al luogo in cui si trova un altro sogno da coltivare, una casa da ristrutturare, che Larcher vorrebbe far diventare il suo punto di arrivo.
«All’inizio eravamo titubanti sulla qualità del nostro prodotto – confessa timidamente –, ma poi la gente ha iniziato ad arrivare e a chiedere i nostri prodotti e allora abbiamo capito di avere in mano qualcosa di speciale».
Oggi l’azienda produce ortaggi che vende freschi finché la stagione lo permette e per il resto dell’anno macina, essicca, trasforma. Farine, miele, succhi, un ben di Dio che finisce sulle tavole dei molti clienti che arrivano fin quassù, chi di passaggio, chi ormai per consuetudine. Un via vai continuo di persone che, dicono quelli che abbiamo incrociato, qui possono acquistare prodotti che sanno di montagna e profumano di aria buona.
Le preoccupazioni dell’inizio hanno lasciato il posto a una sicurezza produttiva e commerciale più marcata. Terra e Facebook, si potrebbe dire, perché la comunicazione per chi vive in luoghi di confine come questi passa anche da lì. La pagina social dell’azienda è un elogio all’agricoltura di montagna e al territorio a cui appartiene.
Alla domanda su dove si vede tra dieci anni, risponde con fermezza: «Sarò qui nel mio paese a coltivare altri sogni e altra terra. Mi auguro di poter ampliare l’azienda, acquistare altri mezzi e aggiungere nuove filiere produttive rispettose dell’ambiente».
La storia
di Alberto Mosca
Alberti d’Enno, aristocratico della Val di Non, nei primi anni dell’Ottocento tramite matrimonio giunse a Collepasso, dove fu artigliere dei Borbone e innovatore agrario