La storia
mercoledì 22 Febbraio, 2023
di Carlo Martinelli
Per cominciare c’è il nome: Fabricharte. Che di cognome fa Artigiani della carta. Un plurale maiestatico che suona come auspicio per il futuro giacché, per ora, l’artigiano della carta, nella bottega laboratorio di via San Marco, nel cuore di Trento, è uno e uno solo: Andrea Andreatta, classe 1981. Per chi lo frequenta, per chi frequenta i suoi corsi, è il Dottor Libro, Doctor Book se vogliamo darci un tono quasi cinematografico. Torniamo all’inizio, al nome. Sta per fabbrica, sta per arte, sta per carte. Ovvero sta per il mondo di questo ragazzone, felice di aver intrapreso un percorso professionale che lo rende una delle poche, pochissime mosche bianche dedite, in tutta la regione, all’arte di rilegare e restaurare libri. Si contano sulle dita di una mano, per capirci.
Perché dottore del libro?
«Perché quando parli di libri, specie di quelli che hanno decine, quando non centinaia di anni, niente è uguale, ognuno ha la sua rottura, ognuno ha la sua soluzione».
Come è cominciata questa passione, ora diventata lavoro?
«È il 2013, decido di seguire la mia compagna, Daniela Cappiello, a Venezia, dove lei si iscrive all’Accademia di Belle Arti. Io vengo dall’altopiano di Pinè, ho fatto lo scientifico al Galilei di Trento, poi ingegneria senza arrivare in fondo. Perché arriva invece questa passione per i libri, per la rilegatura, per la carta. Così, a Venezia, il 23 aprile 2013 entro in una bottega artigiana e comincio ad imparare. Le coincidenze: il 23 aprile è la Giornata mondiale del libro. A Venezia il laboratorio dove imparo il mestiere, come si suol dire, è in Sestriere San Marco. Quando arriverò a Trento, con una bottega tutta mia, finirò in via San Marco…».
Poteva essere il luogo ideale, Venezia, per stare a contatto con libri antichi, librai, antiquari…
«Forse le calde estati in laguna hanno avuto il loro peso. Sta di fatto che nel 2015 sono tornato a Pinè, Daniela ha iniziato a collaborare con realtà artistiche trentine, era arrivato il nostro primo figlio, Romeo e io ho aperto proprio a Pinè la prima bottega. Troppo cari gli affitti per pensare, allora, di metter piede a Trento».
Tutto facile?
«Non proprio. Impossibile resistere solo con le rilegature dei libri. Ho iniziato a tenere corsi di formazione, ho aggiunto le riparazioni dei libri, che a Venezia non facevo. E comunque per arrivare a fine mese ero anche educatore con la cooperativa Kaleidoscopio».
Eppure ora è a Trento…
«In piena pandemia scopro un bando Itea per l’affitto di uno spazio, 27 metri quadrati, molti meno che a Pinè. Concorro e ce la faccio, sono scelto, poter stare in città, per le caratteristiche delle mie proposte, è il massimo. E pazienza per lo spazio, me lo faccio bastare, anzi è perfetto. In via San Marco sono entrato il 15 ottobre 2020, nel frattempo era arrivata anche Sofia…».
Cosa vuol dire dedicarsi ad una attività artigiana che sembra d’altri tempi? Occuparsi dei libri, per di più vecchi o antichi che dir si voglia, al tempo degli smartphone, degli ebook?
«Vuol dire sentirsi parte di una storia importante. Il libro ha attraversato i millenni. Vogliamo parlare delle pergamene? Certo, io metto insieme servizi: riparazione di libri e anche di mobili, foderarli con la carta è un’arte. Poi la formazione: organizzo corsi e laboratori, faccio interventi nelle scuole e infine la produzione di libri, agende, album, scatole, cornici, cartelle, oggetti d’ufficio: con la carta si fanno mille cose ed è quel che insegno, anche».
Ha degli amici piuttosto pesanti nel suo negozio – laboratorio…
«Le due presse a colpo sono tarate rispettivamente per 10 e 25 tonnellate. Il tagliacartoni o cesoia pesa tre quintali e mezzo, c’è la doratrice per scrivere sul dorso dei libri titoli e nome dell’autore, ho la “ghigliottina” ovvero una cesoia che taglia le risme di carta. A Genova ho recuperato una mezzaluna che permette di fare incastri per le scatole. Non ne ho mai più vista una in giro. Poi però non dimenticherei i molti piccoli attrezzi che servono al mio lavoro. Ogni cassetto ne custodisce e sono tutti compagni preziosi: punzoni, aghi, tappetini da taglio, righe in metallo, taglierini, fili di lino, di cotone, cerati, colle, pennelli, forbici, pieghette».
Riparare libri sembrerebbe attività anacronistica, assai poco attuale…
«Ed invece scopri che per molti i libri hanno un grande valore affettivo. Arriva la nonna che vuole regalare alla nipotina il suo libro dell’infanzia, letto decine e decine di anni fa. Lo fa restaurare e rimettere a nuovo, conservando però quella patina del tempo così unica, così inconfondibile. Poi c’è chi vuole mettere a posto, sistemando dorsi e dorsini, un libro del Settecento che ha in casa da generazioni. Si badi, sono libri che non hanno affatto valore antiquario, ma li si vuole in biblioteca, a fare bella mostra di sé, al posto del best seller appena sfornato, senza personalità».
I libri che si trova spesso tra le mani?
«Quelli di cucina, prima di tutto. Sono i classici delle ricette, presenti magari in una abitazione perché ce l’aveva la nonna, quando non la bisnonna. Sono importanti perché chi l’ha usato, nel corso del tempo, vi ha aggiunto appunti importanti, particolari decisivi su quantità, dosi, cottura…Quindi arrivano da me e chiedono di rilegarlo in modo tale da renderlo come nuovo, anche se non lo è, per fortuna. Perché il fascino dei libri “vissuti” è un qualcosa che resiste e che attira anche molti giovani, alla faccia degli ebook. Poi…».
Poi?
«”La Divina Commedia”, un classico senza tempo. E i libri per l’infanzia, proprio in questi giorni sistemo “Piccole donne”. Ma ho anche rimesso a nuovo un “Monopoli”, prima edizione. E mi trovo a rilegare raccolte di giornali di 50, 60 anni fa».
E i corsi?
«Insegno a costruire un libro, a creare scatole, agende personalizzate, cornici particolari. Poi, visto che mi capita spesso di trovarmi di fronte a chi mi porta dizionari in condizioni assai precarie, tenuti assieme dal nastro adesivo, regolarmente scollati, ho deciso di proporre una serie di lezioni del tutto particolari. Per imparare a riparare i libri con lo scotch. In modo tale che il nastro adesivo manco si veda, ovviamente».
L'INTERVISTA
di Gabriele Stanga
Il professore emerito del dipartimento di Sociologia commenta i dati Ocse: «La cultura scolastica è sconnessa dalla realtà economica, sociale e culturale. Non si crea l’abitudine a leggere e informarsi»