rovereto

sabato 16 Settembre, 2023

Accusato di essere un foreign fighter, Bertolini si difende: «Non sono un mercenario»

di

Sarà ascoltata anche la moglie, tra due mesi il processo. L’avvocato: «Abbiamo consegnato il passaporto russo, l’accusa cadrà»

Ha chiesto e ottenuto di essere processato con rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo di pena in caso di condanna, Alessandro Bertolini, il 29enne originario di Manzano, piccola frazione di Mori, arrestato il 29 giugno scorso a Malpensa dai carabinieri del Ros di Genova. Per la Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo del capoluogo ligure il grestano è stato un «foreign fighter», un mercenario andato a combattere a fianco delle milizie filo-russe in territorio ucraino, nella regione del Donbass, in cui si sono autoproclamate le repubbliche di Donetsk e Luhansk, quelle che Putin ha riconosciuto come indipendenti. Ma per l’imputato la realtà era un’altra: «Non ho mai partecipato ad azioni violente, a combattimenti — la sua posizione — E poi lì a Donetsk avevo una famiglia, la residenza, e da novembre 2017». Aspetto, quest’ultimo, determinante, secondo la difesa, per sgretolare l’imputazione. «Il capo d’accusa prevede espressamente che Bertolini non fosse residente, e proprio alla luce dei documenti che abbiamo acquisito viene meno la contestazione» spiega l’avvocato Massimiliano Luigi Scialla di Roma. Ieri mattina, in tribunale a Genova, il legale ha depositato corposa documentazione e il giudice dell’udienza preliminare Matteo Buffoni ha accolto le sue istanze: il processo, che avrà inizio a fine novembre, verrà celebrato appunto con rito abbreviato, condizionato all’audizione dell’imputato e di sua moglie (spostata in Ucraina nel 2020 e ora a Mori con il loro bimbo di tre anni e un secondo in arrivo), oltre che all’acquisizione dei relativi passaporti e di quanto fornito anche dal consolato russo e dal ministero dell’Interno russo. Ieri il difensore ha presentato, tra gli altri, il passaporto del suo cliente emesso dall’autoproclamata repubblica di Donetsk, assieme, appunto, al documento del consolato generale della Russia a Genova, in cui Bertolini risulta essere residente da novembre 2017 a Donetsk. Lo stesso ministero dell’Interno russo, fa sapere Scialla, ha fatto avere i documenti che attestano che il grestano era già cittadino ucraino ed è poi diventato russo nel 2021 dato che la zona in cui risiedeva è stata annessa. Altri documenti, che devono essere tradotti dal russo, verranno depositati da qui alla data dell’inizio del processo, comprese le testimonianze di vicini e di conoscenti che raccontano di come il 29enne non combattesse ma fosse invece impegnato a tagliare la legna e in altre attività quotidiane rudimentali visto anche il contesto di guerra in cui viveva. Di qui la conclusione dell’avvocato Scialla: «Il reato non può sussistere visto che il mio cliente risulta un residente stabile e l’accusa prevedeva che non lo fosse. Tra l’altro, come residente, con tanto di passaporto, avrebbe potuto anche partecipare alle azioni belliche, cosa che però non è avvenuta». La contestazione che ha avanzato nei suoi confronti il sostituto procuratore di Genova, Federico Manotti, era che avesse partecipato «ad azioni, preordinate e violente, dirette a mutare l’ordine costituzionale o a violare l’integrità territoriale del Governo ucraino, Stato estero di cui non era né cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle forze armate di alcuna delle parti in conflitto». E se la cittadinanza è un punto a favore dell’imputato, ci sono comunque elementi a sostegno dell’ipotesi di accusa. E cioè il fatto che nel 2016 Bertolini, a Donbass, si era mostrato davanti alle telecamere di una trasmissione tv italiana, con in mano un fucile. Aveva raccontato delle sue simpatie di estrema destra, di come avesse «sempre sognato di fare il soldato sin da piccolo». Allora aveva spiegato di combattere per la Russia «perché è un Paese forte». In Italia «ci avevo provato ad arruolarmi ma non mi hanno mai chiamato — le sue parole in tv — le selezioni sono limitate. Qui invece non ho avuto problemi, mi chiamano fratello». Stando all’avvocato Scialla il suo cliente, all’epoca poco più che ventenne, davanti alle telecamere «aveva romanzato la situazione, anche perché gli era stato dato un compenso, ma la verità è che non ha mai combattuto — assicura il legale — non sa nemmeno maneggiare un’arma, non è addestrato per combattere». Quanto alle parole dell’imputato intercettate dagli inquirenti mentre era al telefono con il padre, a cui racconta di essere in prima linea a combattere, «sono parole in libertà di un ragazzo a migliaia di chilometri di distanza da casa» spiega il difensore.