il caso

venerdì 15 Dicembre, 2023

Accusato di essere un foreign fighters, Bertolini condannato a due anni

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L’uomo era stato fermato il 30 giugno scorso dopo essere atterrato a Malpensa da Mosca

Alessandro Bertolini, il giovane di Manzano arrestato lo scorso 30 giugno, all’aeroporto di Malpensa, con l’accusa di aver combattuto in Ucraina per l’esercito russo come «foreign fighter», è stato condannato a due anni con la sospensione condizionale della pena. «Il giudice ha applicato il capo d’imputazione – spiega il suo avvocato difensore, il legale Massimiliano Luigi Scialla – ma gli ha attribuito una responsabilità molto marginale, con circostanze attenuanti e facendo cadere l’aggravante della transnazionalità». Una sentenza nella quale la famiglia Bertolini e il suo difensore speravano dopo che le testimonianze dell’uomo e di sua moglie avevano portato alla richiesta di scarcerazione e alla misura dei domiciliari con obbligo di dimora nel comune di Mori. All’indomani della scarcerazione, l’avvocato difensore si era detto «ottimista, con delle buone sensazioni perché abbiamo provato che da molto tempo Bertolini viveva a Mosca, lontano dalle zone di guerra e non poteva quindi aver partecipato al conflitto. Molte circostanze avanzate dalla procura sono state spiegate dalla moglie nella sua testimonianza».
L’accusa mossa al ventinovenne di Manzano era pesante: secondo quanto ricostruito dai militari del Ros di Genova, coordinati dal sostituto procuratore Federico Manotti, l’uomo avrebbe combattuto, dal 2016 fino a poco prima dell’arresto, a fianco delle milizie filo-russe dietro compenso. Inoltre, secondo l’accusa, avrebbe partecipato «ad azioni, preordinate e violente, dirette a mutare l’ordine costituzionale o a violare l’integrità territoriale del Governo ucraino, Stato estero dì cui non era né cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle forze armate di alcuna delle parti in conflitto». Bertolini ha sempre negato i reati che gli venivano contestati, nonostante in un’intervista televisiva si fosse vantato di aver combattuto e si fosse fatto riprendere vestito da militare e con un fucile in mano.
Accadeva nel 2016 quando ad una trasmissione televisiva aveva raccontato delle sue simpatie di estrema destra, di come avesse «sempre sognato di fare il soldato sin da piccolo». Allora aveva spiegato di combattere per la Russia «perché è un Paese forte». In Italia «ci avevo provato ad arruolarmi ma non mi hanno mai chiamato – le sue parole in tv – le selezioni sono limitate. Qui invece non ho avuto problemi, mi chiamano fratello». Stando all’avvocato Scialla il suo cliente, all’epoca poco più che ventenne, davanti alle telecamere «aveva romanzato la situazione, anche perché gli era stato dato un compenso, ma la verità è che non ha mai combattuto – aveva ribadito il legale – non sa nemmeno maneggiare un’arma, non è addestrato per combattere».
Nell’ultima udienza, poche settimane fa, nella quale aveva testimoniato anche la moglie ucraina di Bertolini fornendo i dettagli di spostamenti, viaggi e soprattutto del fatto che negli ultimi anni si trovassero a Mosca, lontani da zone di guerra, il giovane ha ripetuto di non aver mai preso parte ad azioni di guerra in Ucraina: si è trattato, solo di esagerazioni della realtà di un giovane, al tempo poco più che ventenne, lontano da casa e in qualche difficoltà, costretto a dei lavori umili che non aveva il coraggio di raccontare al padre e alla madre rimasti in Italia. Una linea difensiva, questa, che ha portato alla scarcerazione, su richiesta del pm, del giovane dal carcere di Busto Arsizio, con obbligo di dimora nella sua Manzano. Accadeva poche settimane fa e ieri è arrivata la sentenza, risultato anche della pena ridotta di un terzo legata alla richiesta del rito abbreviato che Bertolini ha scelto con il suo avvocato difensore.