Il lutto

venerdì 17 Gennaio, 2025

Addio a David Lynch, uno dei registi più importanti della storia del cinema

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Si è spento nella giornata di ieri

Se n’è andato mentre la sua Los Angeles sta ancora bruciando, in una sorta di tetra simbiosi che ricorda molto alcuni suoi film. David Lynch, regista dell’inconscio, creatore di alcune delle opere più significative ed influenti del cinema contemporaneo, si è spento per le conseguenze di un enfisema polmonare. Fumatore accanito, aveva recentemente parlato delle sue condizioni di salute in un video, nel quale spiegava come fosse contento di poter continuare a lavorare ai suoi progetti grazie alla tecnologia, senza dover uscire di casa, cosa che iniziava ad essergli preclusa.

Dalla serata di ieri il web è invaso da messaggi di stima, affetto, cordoglio. Colleghi, attori e attrici, uomini e donne del mondo della cultura e dell’arte piangono un innovatore, un regista capace di reinventare un linguaggio, in un mondo dove il già visto è sempre dietro l’angolo. Ai tempi dell’uscita di Mulholland Drive (ad oggi ritenuto da molti il più importante film del nuovo millennio), nel 2001, i giornalisti citavano Lucio Battisti per spiegare il loro stato d’animo all’uscita della sala: «capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi, emozioni». Non c’è appassionato di cinema che oggi non abbia condiviso un’immagine, un frammento di film, una sua citazione. Appare più volte la lacerante scena finale di The Elephant Man (1980), uno dei suoi titoli più amati, con il protagonista, afflitto da una grave patologia e trattato quasi da tutti come un animale, che sceglie di porre fine alla propria vita provando finalmente a dormire come un uomo. Sulle copertine di Facebook è un fiorire di pettirossi, meraviglioso tocco di surreale e poetico colore a fare da cornice all’inquietante e sordido buio di Velluto Blu (1986).

E se la recente versione firmata da Denis Villeneuve ha portato molti a riflettere su quel grande flop incompreso che fu Dune (1984), sicuramente nessuno che vi abbia assistito potrà mai dimenticare la prima messa in onda de I segreti di Twin Peaks, giunta in Italia nel 1991. Per settimane, ogni mattina confrontandosi con amici e conoscenti, tutti si sono chiesti chi avesse ucciso Laura Palmer. La storia della televisione ha un prima e un dopo Twin Peaks e sono innumerevoli le serie recenti che hanno attinto alla sua capacità di mescolare la quotidianità di provincia con il mistero e il paranormale. Ogni spettatore, a sentire nominare Twin Peaks, ha ancora nelle orecchie il tema musicale composto da Angelo Badalamenti.

In una carriera variegata e complessa, che comprende anche alcune produzioni musicali e decine di esposizioni artistiche come pittore, sono solo dieci i lungometraggi realizzati per il cinema, dal 1977 al 2006. Accanto a questi trovano posto oltre cinquanta cortometraggi (in molti dei quali Lynch è anche attore), documentari, videoclip, spot pubblicitari (memorabile quello per la PlayStation 2), produzioni per la televisione e le folli ed indimenticabili previsioni meteorologiche del suo canale YouTube.

Nel corso di questi decenni Lynch colleziona: tre candidature agli Oscar come Miglior regista e una statuetta onoraria alla carriera nel 2020, la Palma d’Oro a Cannes nel 1990 per Cuore selvaggio, sempre a Cannes il premio per la miglior regia per Mulholland Drive e un Leone d’Oro alla Carriera alla Mostra di Venezia nel 2006, anno in cui presenta Inland Empire.

Lontano dalle grandi produzioni, marginale per scelta e necessità artistica, adorato dai fan e tendenzialmente poco amato dal grande pubblico, Lynch si prendeva la libertà di perseguire la propria arte, utilizzando linguaggi eterogenei, lavorando sulle proprie ossessioni. Per meglio comprendere il suo modo di agire si consiglia di recuperare il documentario Lynch, firmato da blackANDwhite e presentato al Torino Film Festival nel 2007. Un ritratto intimo, realizzato nell’arco di due anni e durante la lavorazione di Inland Empire. Una creatività debordante, ininterrotta, fluviale. La vita di un uomo perennemente immerso in una

dimensione artistica che ne fagocitava l’esistenza, senza che la cosa lo turbasse minimamente. Un modo di lavorare e di vivere unici, forieri di uno sguardo fuori dagli schemi, che mancherà molto.

In chiusura una piccola nota personale. Il primo libro di cinema che lessi in lingua inglese era una biografia di Lynch. Era il 2001, me la portò mia sorella da Londra. Date le mie scarse competenze linguistiche dell’epoca la sua lettura mi accompagnò per mesi, spalancandomi porte sull’ignoto e il meraviglioso. A Lynch dedicai uno dei miei primi articoli sul giornalino della scuola e Una storia vera (1999) è uno dei film più importanti della mia vita, studiato e proposto per anni nel corso della mia attività. Un titolo solo apparentemente atipico in una filmografia straordinaria, perché il buio, il dolore, sono già accaduti, sono parte della tessitura passata dei suoi personaggi, puri e semplici, alla luce del sole. Un film che si apre e si chiude sul più bel cielo stellato mai visto al cinema e che sa ricongiungere ogni spettatore alla parte più profonda e sincera del proprio io. Ancora una volta dentro di noi. Dove solo pochissimi sanno guardare. Grazie David.