il lutto
martedì 24 Dicembre, 2024
di Katia Malatesta
“Per uno che ha vissuto per gran parte della propria esistenza a contatto con preziosi materiali appartenenti alla storia della fotografia, lasciare una traccia duratura significa partecipare eticamente alla società alla quale appartiene”. Così scriveva, nel 2012, Floriano Menapace, condensando icasticamente, per la rivista della Società di studi Trentini di Scienze Storiche, una vita di studio, rigore metodologico, impegno civile, consapevolezza nell’operare.
Storico della fotografia e fotografo in una storia, quella della sistematica interpretazione fotografica del territorio, sulle orme dei maestri di cui lui stesso aveva ricostruito le personalità, il fondatore dell’Archivio fotografico storico provinciale si è spento ieri sera a Trento, dov’era nato nel 1946.
Alla fotografia si era dedicato dal 1968, assecondando una passione perfezionata durante gli studi al DAMS a Bologna. Sotto la guida di Italo Zannier, che gli fu doppiamente maestro nella sua veste di fotografo e studioso, alla fine degli anni Settanta si laureò, tra i primi in Italia, in Storia della fotografia. Da funzionario provinciale, poté così partecipare da protagonista all’intensa stagione che diede forma alla nuova amministrazione trentina della tutela. Attivamente impegnato nelle campagne catalografiche sul territorio, contribuì tempestivamente al dibattito nazionale sulla catalogazione della fotografia in collaborazione con l’ICCD del Ministero per i Beni Culturali. A lui dobbiamo l’istituzione dell’Archivio fotografico storico provinciale e la restituzione alla comunità di importantissime collezioni acquisite con lungimiranza fin dai primi anni Ottanta, vent’anni prima che la fotografia entrasse ufficialmente nella legislazione italiana dei beni culturali.
Menapace ha portato nell’amministrazione culturale trentina un nuovo solido approccio scientifico a un linguaggio tanto pervasivo quanto sconosciuto nella sua autonomia e si è adoperato instancabilmente per farlo conoscere attraverso mostre e pubblicazioni su cataloghi, riviste specializzate e quotidiani che restano tuttora di riferimento.
Dopo l’abbandono dell’ente pubblico, nel 2004, il suo contributo alla cultura fotografica ha trovato espressione soprattutto in una pratica improntata a una profonda conoscenza storica e teorica delle funzioni e delle estetiche del medium. La sua personale perlustrazione del territorio trentino, avviata in Val dei Mocheni nel 1996, è proseguita con metodiche campagne fotografiche nella Circoscrizione Oltre Fersina a Trento (2004-2005), in Val di Non (2007-2009), lungo il corso dell’Adige da Roveré della Luna al ponte di Borgo Sacco (2005-2009), in Val Rendena e in Val d’Ambiez (2008-2012). Alla ricerca di quella piena simbiosi che si può maturare solo con i luoghi del proprio vissuto, sempre più spesso la sua indagine si è estesa anche alle periferie diffuse dei fondovalle, focalizzandosi su spazi e non luoghi cementificati e spenti, ma anche su impreviste epifanie di forma nel trascorrere della luce. Nutrendosi dell’eredità culturale e tecnica delle grandi scuole americane e tedesche, in programmatica continuità con il lascito dei protagonisti della fotografia trentina, da Unterveger a Faganello, la sua opera si mantiene fedele alla tradizione analogica della fotografia argentica in bianco/nero. Le sue stampe sono esemplari volutamente unici, prodotti con meditativa lentezza, con l’antica manualità e la perizia affinata sui manuali storici, utilizzando bagni ‘su misura’, privilegiando prodotti chimici intesi ad assicurare la massima durata e inalterabilità dei materiali. Sono ancora le sue parole la migliore introduzione a una visione autoriale che affonda nella “riscoperta di una dimensione ‘artigianale’ delle cose ben fatte”. “Alla fine rimangono i temi propri della fotografia, le luci, le ombre, le atmosfere naturali, la ricerca di soggetti che riescono ancora a creare interesse e che, da qualche tempo, stanno emergendo sempre più nel mio lavoro imponendomi una rielaborazione di quella miscela di culture personali che mi hanno fatto attraversare il cristallo di Abalos e, forse, anche lo specchio di Alice.”
il sermone
di Redazione
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