Il lutto
domenica 16 Febbraio, 2025
di Leonardo Omezzolli
Il 27 ottobre avrebbe spento 98 candeline, ma l’avvocato, deputato e partigiano Renato Ballardini si è spento ieri mattina nella sua amata Riva del Garda. Un lutto che colpisce prima di tutto i suoi due figli, ma che poi si estende a Riva, all’Alto Garda, al Trentino e all’Italia. Ballardini è stato un uomo, testimone, e in alcuni frangenti protagonista, della storia dell’Italia repubblicana e del ventennio fascista. Un uomo che ha valicato i confini territoriali pur rimanendovi estremamente legato rappresentando quegli ideali che ha difeso nella Resistenza sia nelle istituzioni locali (negli anni ‘60 è in consiglio comunale a Riva), in Provincia, in Parlamento come deputato e in parlamento europeo. Significativo è stato il suo contributo per l’approvazione della legge sul divorzio come dirimente sarà il supporto nella Consiglio dei diciannove attraverso il quale si diede vita al Secondo statuto di Autonomia della Regione contribuendo a risolvere la questione dell’Alto Adige e a fermare il periodo delle bombe. Ballardini ha sempre rifiutato di essere considerato un eroe del nostro tempo, preferendo definirsi come un uomo «nel posto giusto, al momento giusto, che ha fatto quello che doveva fare». La sua intera esistenza, però, ruota attorno all’impegno politico, alla militanza e, soprattutto, alla difesa della democrazia e della libertà dell’individuo.
Deputato per il Psi nel 1981 fu tra i 19 esponenti del partito che furono espulsi (non ci fu un editto di espulsione, ma questa è sempre stata la versione di Ballardini ndr)per volontà diretta di Bettino Craxi per aver osato accusarlo di essersi impadronito del partito eliminando la democrazia interna. Con la sua morte si è persa una vivida testimonianza della storia d’Italia, trentina e rivana. Il 25 luglio del 1943, per esempio, si trovava a passo Sella ad un campeggio della Gil con alcuni istruttori valdostani e lì brindò all’arresto di Mussolini. Nella Resistenza ci finì a soli 16 anni. Una scelta che lo portò in val Rendena al cospetto delle Dolomiti di Brenta, lontano dagli affetti più cari rivani. A Riva, all’Albergo San Marco (che poi diverrà il suo studio da avvocato) i nazisti lo cercarono nel ‘44. Non lo trovarono, ma arrestarono il padre Remo che fu poi torturato a morte. Gli studi in giurisprudenza e la laurea nel 1950 con l’avvio della professione nello studio dell’avvocato Giuseppe Ferrandi di Trento.
Riconosciuto fu il suo impegno nell’approvazione della legge sul divorzio che visse da presidente della Commissione affari costituzionali alla Camera. Grazie alla sua esposizione che confutò l’accusa di incostituzionalità la legge passò. Solido e costante fu l’impegno nella Commissione dei Diciannove: 200 sedute per redigere il Secondo Statuto di autonomia. Ballardini è stato parlamentare dal 1958 al 1979. Un uomo la cui narrazione lo scosta dalle leggerezze di un’adolescenza negatagli dalla storia, ma che, invece, ha saputo vivere ugualmente. Ballardini era solito raccontare delle sue doti giovanili da nuotatore anche agonistico e grazie alle quali nuotava fino a Punta Lido (al tempo in concessione ai privati e non accessibile ai cittadini) per rubare le nespole. Cittadino legato alla costituzione e alle istituzioni, avvocato dei più deboli e partigiano. Ballardini non esisterebbe senza le sue montagne, il Brenta in particolare, ma anche quelle di Folgaria dove ogni anno andava per ricordare i giovani partigiani di Malga Zonta. «Ha mantenuto una lucidità di analisi della vita quotidiana fino all’ultimo – racconta Gianantonio Pfleger, presidente dell’Anpi di Riva – Era in grado ancora in questo ultimo periodo di parlarti di tutto, di analizzare la politica, la società e restava costantemente aggiornato leggendo avidamente i giornali».
«Viene a mancare un pilastro della comunità – lo ricorda Tommaso Ulivieri – Ha difeso me e Mirco Carotta a 90 anni in una delle sue ultime attività da avvocato. In quel contenzioso disse “Ho iniziato la mia carriera con i fascisti e la finisco con i fascisti”. Voglio ricordarlo in una passeggiata che facemmo io e lui in montagna dove andammo per caldeggiare il fronte del No al referendum di Renzi. Mi raccontò di quando giovanissimo nel ’40 andò in bicicletta fino a Garda da alcuni parenti. Sentì alla radio il famoso discorso di Mussolini che dichiarava l’intervento in guerra dell’Italia. Mi raccontò che mentre Mussolini parlava sentì un’enorme scoreggia di mulo. Lo definì il giusto commento per l’entrata in guerra. Al di là degli applausi della piazza romana la decisione non fu accolta positivamente dagli altri territori né da lui». «Sembra facile retorica – spiega Luca Spagnolli – ma l’impressione era davvero quella di avere davanti una persona di cui ahinoi si è perso lo stampo: appassionata ma mai sopra le righe, sempre autorevole, ma capace di umanità e simpatia anche con semisconosciuti, capace di prendere e portare avanti posizioni nette e coraggiose senza perdere quel suo certo “aplomb” d’altri tempi».