il lutto
mercoledì 28 Giugno, 2023
di Gabriella Brugnara
«Andrea Slomp racchiude nelle sue tele gli elementi della natura e il concetto di fiducia. Angeli e demoni, uccelli ed animali di terra e di acqua, fiori e piante si mescolano in un assurdo mosaico con la figura umana, mosaico talmente improbabile da rappresentare perfettamente la complessità della realtà».
È scomparso l’altro giorno l’artista trentino Andrea Slomp (Bosentino, 1952) e quelle del nostro incipit sono le parole con cui il curatore Giuseppe Tasin ne commenta l’estetica in occasione della recente mostra «TerraMadreTerra», aperta fino allo scorso 4 giugno a Palazzo Bortolazzi di Vattaro. Si trattava di un’iniziativa organizzata dalla Regione Trentino Alto Adige/Südtirol in collaborazione con il Comune dell’Altopiano della Vigolana, che intrecciava opere della collezione della stessa Regione con lavori di artisti del territorio e delle classi quinte dell’Istituto comprensivo Vigolo Vattaro. Slomp era presente nel percorso con quattro opere, «La fiducia nel ramarro», «Universo», «Aberrazioni», e «Mondi», tutte in tecnica mista.
«Una forte depressione, certo collegata anche alla sua sensibilità artistica, lo ha portato a trascorrere gli ultimi anni in casa di riposo» racconta la nipote Valentina Amorth che gli è stata vicina. «La perdita del fratello gemello Carlo quattro anni fa, è stata purtroppo la causa scatenante del crollo totale di mio zio. Da quel momento si è lasciato andare, ho la casa piena dei suoi quadri e ricordi, ma nel periodo recente “odiava” l’arte, gli ultimi tre suoi lavori li ha persino tagliati» osserva ancora.
Autodidatta, Slomp coltiva sin da giovane l’interesse per il disegno e la pittura. Per qualche tempo risiede a Venezia dove ha contatti con il mondo dell’Accademia, per trasferirsi poi a Roma e diplomarsi in grafica pubblicitaria. Nel 1974 partecipa alla prima mostra collettiva, in seguito espone in molte città italiane, tra cui Roma, Bolzano, Bologna, Novara, Arezzo, Firenze, Padova. A trent’anni ritorna a Bosentino e per due anni frequenta assiduamente come allievo lo studio di Remo Wolf, approfondendo la tecnica xilografica. Nel suo stile, oltre alle suggestioni wolfiane, appaiono velati riferimenti al Futurismo e alla Pop Art.
«Non siamo stati solo amici, l’ho seguito in tutto il suo percorso artistico e di vita. È stato a tempo pieno incisore, un artista coraggioso, che negli anni Ottanta e Novanta amava molto sperimentare» dice di lui il critico d’arte Fiorenzo Degasperi che lo ricorda soprattutto come incisore di opere quali «Il ciclo dei Mesi» (1986), in cui sottolinea «il delicato rapporto tra lui e la natura, lo scorrere del tempo, l’affacciarsi di icone», temi che ritornano anche ne «Il Giardino delle delizie» (1987).
Nel 1990 è la volta dell’«Apocalisse», presentata alla Galleria Fogolino di Trento, e fondamentale nella sua ricerca è la figura del «Minotauro», che apre la porta sul mondo degli archetipi e dell’inconscio, come testimonia la «Minotauromachia in privata mitologia» (1991). «È l’eccesso che appare improvvisamente e mai come in questo caso il bianco e il nero sono due elementi che, lungi dal contrapporsi, diventano potenziali amplificatori dei sensi e dei desideri» osserva Degasperi.
«Più Andrea lavora e più si isola dal mondo: nel suo studio di Bosentino, balcone sulla montagna delle leggende, la Vigolana; sulle acque delle ninfee, il lago di Caldonazzo; su paesi racchiusi ancora tra i lacci delle leggende, dei miracoli, delle apparizioni, dei suoni improbabili. I minatori di Calceranica, i fantasmi di Castel Vigolo, i miracoli della Madonna del Feles. Il suo studio è il mondo» conclude Degasperi.
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