l'inchiesta

sabato 15 Giugno, 2024

Adolescenti, tentati suicidi raddoppiati in 2 anni. L’esperta: «Covid e social hanno creato un’epidemia di depressione»

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Giovani sempre più ansiosi e costretti al confronto online. Roberta Bommassar, psicologa e presidente dell’ordine di Trento, lancia l’allarme: «Per affrontare il problema serve formare anche gli insegnanti»

Ce li ricordiamo così: preoccupati e un po’ impacciati, benché nativi digitali, dietro il loro computer. In dad, didattica a distanza, mentre fuori infuriava la pandemia. Ora quegli stessi giovani al primo anno delle superiori faranno gli esami di maturità. Un percorso simile anche per quei bambini che, nel 2019, iniziavano la prima elementare. Si chiude un ciclo scolastico, ma i problemi, d’insegnamento (lato insegnanti), d’apprendimento (lato studenti) e anche psicologici rimangono, come hanno sottolineato, nel T di ieri, venerdì 14 giugno, i giovani rappresentanti della consulta degli studenti: Matteo Bonetti Pancher e Hadia Ashfaq. Ma non sono solo loro, due persone che a scuola «ci vanno», a sostenerlo. Dello stesso parere è Roberta Bommassar, psicologa e presidente dell’ordine di Trento, che lancia l’allarme: «Autolesionismo e depressione stanno crescendo».
Dottoressa Bommassar, come stanno i giovani oggi?
«Non bene. Gli specialisti sono tutti d’accordo che c’è, allo stato attuale, un’emergenza giovani. La questione è stata recentemente affrontata anche in un incontro che si è svolto a livello di ordine e sono emersi numeri inquietanti».
Quali?
«Gli accessi ai servizi psichiatrici per tentati suicidi sono aumentati del 147% in due anni. Ma gli atti autolesionistici sono in generale aumento e così la sintomatologia di tipo depressivo che, nello stesso arco di tempo è aumentata del 115 per cento».
Di che età parliamo?
«Giovani adulti, fino ai 20 – 21 anni circa: tra di loro molti studenti delle superiori. Sempre in questa fascia di popolazione vediamo una crescita dei disturbi alimentari come anoressia e bulimia».
Un allarme che è iniziato con il Covid. C’è ancora una relazione con le pandemia e il successivo isolamento?
«Sì, e questo smentisce, purtroppo, alcune stime ottimistiche che prevedevano un superamento di questo trauma collettivo in un paio di anni. Secondo studi più recenti ce ne vorrà una decina».
Che meccanismo è scattato?
«Il Covid ha fatto da detonatore, è stato una sorta di grande esperimento sociale. Durante lockdown e didattica a distanza è venuto meno il confronto fra “pari”, ossia tra ragazzi della stessa età. Qualcosa di fondamentale in una fase di cambiamenti importanti come può essere quella tra i cicli scolastici. Allo stesso tempo c’è stata una “regressione” con il ritorno in misura quasi esclusiva alla famiglia».
Qualcuno potrebbe dire che ciò non sia necessariamente un male…
«E non lo è se si hanno buone relazioni con la propria famiglia. Ma se ci sono dei disagi in ambito familiare la situazione diventa esplosiva. Molti bambini e ragazzi hanno avuto, in termini tecnici, un’area di esperienza amputata: è mancato un passaggio. E sono rimasti in difficoltà nell’affrontare le novità».
Alcuni di loro dovranno affrontare gli esami. E, tanti, si dicono in preda all’ansia…
«L’ansia per gli esami è forse una delle poche “ansie sane”. Si tratta di una prova impegnativa, che arriva una volta nella vita. Il problema è che i giovani in età scolare sono ansiosi per molte altre cose, e quasi sempre».
Tipo?
«Per il cambiamento climatico che, al contrario degli adulti, non negano, per il loro futuro professionale in un mondo in cui la presenza dell’intelligenza artificiale mette a rischio posti di lavoro, per la possibilità stessa di mettere al mondo figli in un contesto che giudicano preoccupante e ostile».
Un libro pubblicato a marzo sicologo sociale statunitense Jonathan Haidt, «The Anxious generation», la generazione ansiosa, mette in relazione diretta l’uso dei social con un’«epidemia di patologie mentali». È un rischio che si vede anche da noi?
«Temo di sì. La tecnologia è stata una grande risorsa durante il Covid ma poi si è trasformata in una minaccia. Con i social network tutti abbiamo sotto gli occhi le “vite degli altri”. E sono vite manipolate, modificate, che creano un sé ideale. Questa dinamica è pericolosa per i più giovani perché origina un confronto perdente».
In questo quadro, che risposta arriva dalla sanità territoriale?
«Il Trentino ha ottimi servizi ma davanti a numeri crescenti ha difficoltà a dare una risposta puntuale. E capita che alcune famiglie si rivolgano in strutture fuori provincia. Il lato positivo è che i giovani si rivolgono agli psicologi più volentieri, li ritengono una risorsa utile e si vergognano meno dei loro genitori. Ma bisogna anche affrontare la questione della formazione degli insegnanti: sono loro che, ogni giorno, gestiscono questo oggetto misterioso che sono i gruppi di ragazzi. Operazione tutt’altro che facile».