La sentenza
giovedì 13 Luglio, 2023
di Davide Orsato
A sette mesi esatti dal colpo di spugna del governo, con cui sono state abolite tutte le restrizioni riguardo al Covid 19, il vecchio (e già dimenticato) «green pass» continua a produrre controversie sulle quali i tribunali sono poi chiamati a pronunciarsi. E l’ultima sentenza arrivata dal Tar di Trento è destinata, come si suol dire, a «fare giurisprudenza». Dopo tanti provvedimenti contrari alle impugnazioni arrivate dal mondo «no-vax» (o, più in generale, da chi, per un motivo e per l’altro, il vaccino), il Tar di Trento dà ragione in tutto e per tutto (contro ministero della salute, ministero della giustizia, ossia il datore di lavoro e Apss, che non si è costituita in giudizio) a tre agenti di polizia penitenziaria del carcere di Spini che non si sono vaccinati e che, per quella scelta, si sono visti sospendere per mesi dal lavoro, con tanto di stipendio congelato.
C’è un dato di fatto da sottolineare: tutti e tre erano in malattia (e, in seguito, due di loro sono andati in ferie) nel periodo tra dicembre 2021 e gennaio 2022, cioè proprio in quel periodo in cui l’obbligo di green pass entrava in vigore per una serie di categorie lavorative, tra cui, per l’appunto, le forze dell’ordine. In seguito erano risultati positivi al virus. Ed è proprio questo il punto su cui i tre agenti hanno fatto leva per il ricorso. «Non è possibile — le ragioni addotte dagli avvocati, Alberto Fazio e Andrea Iob — sostenere che la vaccinazione sia obbligatoria anche per personale assente dal servizio, che è a casa in malattia e che proprio per questo motivo non può sottoporsi a vaccinazione». Certo, c’è un «ma»: se i tre agenti si fossero sottoposti alla vaccinazione una volta rientrati in servizio, non sarebbe scattato nessun provvedimento. Ma i legali difendono la libera scelta, sottolineando come, nella vicenda ci sia stato un vizio di «eccesso di potere», in quanto si sarebbe voluto «imporre a ogni costo e per principio la vaccinazione anti Covid 19, che allo stato attuale risulta ancora sperimentale». Una cosa che andrebbe oltre, sempre a detta delle parti in causa, la riduzione del contagio e la protezione delle persone delle persone a rischio. Il Tar ha accolto la richiesta, disponendo il pagamento degli stipendi e la ricostruzione della carriera.
Solo le spese dovranno essere suddivise tra le parti data «la complessità della problematica e la contrastante giurisprudenza». «Si tratta di una sentenza importante — è il commento dell’avvocato Andrea Iob — i provvedimenti presi durante la pandemia non sono assoluti ma andavano letti alla luce dell’emergenza. Va sottolineato come uno dei nostri assistiti avesse contratto una patologia in causa di servizio, la sospensione, in questo caso, risultava particolarmente odiosa».