Il caso

domenica 30 Giugno, 2024

Ala, sempre meno negozi in centro città. Il reportage tra serrande abbassate e cartelli «vendesi»

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Viaggio nelle vie tra i palazzi barocchi della città di Velluto: proprio sabato l'annuncio della chiusura della Coop in via Brigata Mantova

«C’era un negozio in ogni palazzo». Li ricordano bene, gli alensi, i tempi in cui la Città di Velluto era un centro vivace, non solo nei giorni della festa dedicata alla lavorazione e produzione della seta, in arrivo la prossima settimana. Oggi, però, a dominare il paesaggio tra i palazzi barocchi del centro storico, sono le saracinesche chiuse; gli avvisi «vendesi» e gli ingressi transennati si moltiplicano. Un’emorragia costante che si fa sempre più acuta: solo di ieri la notizia che è in chiusura anche la Coop in via Brigata Mantova, aperta non più di un anno fa. Eppure, qualcuno resta, per amore del proprio lavoro o per affetto nei confronti della cittadina lagarina, oppure semplicemente per abitudine o ostinazione. E così i clienti di queste botteghe e negozi. E tutti aspettano una svolta in cui, però, non sperano poi più di tanto.
Quello del commercio è un mondo che sta sparendo.
In una giornata sonnolenta, i luoghi più animati sono i bar. Riccardo, del bar tabacchi Bongiovanni, è troppo giovane per vedere grandi cambiamenti, ma i suoi clienti, come Pepe (al secolo Bruno Peroni), tra una chiacchiera, un caffè e un bianchetto, si sfidano a fare l’elenco dei negozi che hanno chiuso negli ultimi trent’anni, con – dicono – un’accelerazione dalla fine degli anni ‘90: il forno, il fotografo, gli alimentari, un orologiaio. La lista è lunga. Poco oltre, da una vetrina sono in mostra i dolci e le pagnotte del negozio «Pane e Latte». «Questo è solo un negozio, il forno non c’è più da un pezzo, il pane lo prendiamo da Chizzola», chiarisce la proprietaria Daniela. Roveretana, è arrivata ad Ala 23 anni fa. «Mi sono innamorata di Ala, non so neanche il perché e lo sono anche oggi. Anche se non c’è più la vita di un tempo. Allora – aggiunge – c’era un negozio in ogni buco, e gente ovunque. Più che a Rovereto». Eppure nella calda mattina d’estate c’è un discreto viavai di clienti, che scambiano due chiacchiere più che volentieri. «A volte per molto tempo non passa nessuno – spiega –, in tanti preferiscono andare a fare la spesa lontano: per risparmiare 10 centesimi, e se togli il costo della benzina neanche quelli. La verità – aggiunge – è che oggi non c’è più voglia di fare, di interagire». Di fronte alle difficoltà, ammette, sta pensando seriamente di abbassare le saracinesche anche lei già nei prossimi mesi. Una cliente si inserisce nella conversazione: «i negozi chiudono perché gli affitti sono alle stelle, il Comune dovrebbe fare qualcosa per limitarli».
Elegante, una tazza vuota e un volume di storia appoggiato sul bancone, Viviana siede nel negozio di abbigliamento che porta il suo nome. La sua è una bottega storica. Aveva iniziato da ragazza nella merceria di suo padre, con l’idea di starci il tempo necessario per mettere da parte qualche soldo finiti gli studi, e invece ci è rimasta per 50 anni. Con gli anni, rilevato anche l’alimentari dello zio, contiguo al suo, ha realizzato una boutique di tutto rispetto, in linea con il suo stile. «Un tempo, solo qui intorno c’erano oltre 40 negozi, ora sono sola», sospira. «Potrei essere in pensione, ma tengo aperto perché a conti fatti i vantaggi sono più degli svantaggi: il lavoro mi piace, passo bene il tempo con le amiche che mi vengono a trovare, ma è un passatempo più che una fonte di reddito». I clienti? Diminuiti, certo, ma ancora molto vari. «Non vengono tanto i giovanissimi, la fascia più rappresentativa è tra i 50 e i 60. Ma la maggior parte va negli outlet. Ci vado anch’io, ogni tanto, questi posti devo conoscerli. E francamente non capisco neanche come loro possano andare avanti, anche i supermercati: spesso sono vuoti, ce ne sono troppi in rapporto alla popolazione».
Con oltre 50 anni di attività, la lavanderia Smeralda è un’altra bottega storica. La proprietaria, Sandra, ne ha visti di cambiamenti dalla sua vetrina in via Nuova. «Sono cambiate molte cose, soprattutto i tessuti. Sì, per strada si vede sempre meno gente, ma molti nostri clienti arrivano dalle zone nuove, da Chizzola, da Avio». C’è una categoria di esercizi che, sembra, non se la passa male: i parrucchieri. In città ce ne sono una decina, un dato impressionante rispetto agli altri esercizi che si contano ormai sulle dita di una mano. «Il taglio di capelli non lo puoi ordinare online», scherza Mirto, titolare da 35 anni dell’omonimo salone in centro. C’è anche chi, come Silvia, ha aperto «Inside», un nuovo esercizio di articoli da regalo da pochi anni. «Chi chiude, difficilmente riapre. Ma il mio è l’unico del genere, quindi non mi lamento». Da qualche anno, tra le vetrine che hanno chiuso ce ne sono altre che hanno aperto: quelle che rivendono vestiti e altri oggetti a scopo benefico. Uno è il «Punto K» dell’associazione Ciao Ketty e uno gestito dalla Caritas. «Anche noi abbiamo preso il posto di un negozio vuoto», spiega la volontaria Maria Grazia. «Il ricavato degli abiti che vendiamo va direttamente in beneficenza. Serviamo molti immigrati ma anche tanti italiani. Ma dopo l’estate – spiega – anche questo esercizio chiuderà, e il punto si trasferirà in un altro spazio».