la storia
venerdì 7 Giugno, 2024
di Tommaso di Giannantonio
Mamma toscana, papà friulano, è nato a Trento «perché mio nonno aveva comprato la farmacia in piazza Duomo nel 1949». Farmacista, dietologo («ho seguito Alberto Tomba»), amante della storia locale («ho pubblicato 33 libri»), appassionato di poesia («ne ho scritte 500»), ex colonna portante del Patt («che ho lasciato per coerenza»), attuale consigliere comunale con il nuovo gruppo Autonomisti per Trento. Alberto Pattini, classe 1951, si definisce un «eclettico». Sicuramente è un combattente. Da tre anni, lo ha scritto pochi giorni fa sul suo profilo Facebook, «pratico la chemioterapia al polmone sinistro e ai linfonodi toracici ogni 28 giorni per 6 giorni».
Sono trascorsi già tre anni…
«Eh già… E ci sono ancora, con po’ di sacrifici. Non è una vicenda semplice da affrontare. Per fortuna non ho un tumore aggressivo, altrimenti sarei già andato».
Come ha scoperto di essere malato?
«Mi si rompevano le costole. Non capivo il perché. Non ero mai caduto. Ho fatto una risonanza magnetica, poi una Tac e, a giugno 2021, me l’hanno diagnosticato».
Cosa ha pensato in quel momento?
«Quando mi hanno detto che non ero operabile, è stata una bella botta. Ti vedi tutta la vita davanti, hai un attimo di smarrimento, poi reagisci. Chiaramente non mi sono ancora abituato alla situazione. Per quanto le persone ti possano stare vicino, sei da solo con te stesso».
Sin da subito, però, ha deciso di raccontare pubblicamente questa nuova fase della vita. Perché?
«Il tumore non può essere considerato un tabù. L’ho fatto per cercare di dare e avere sollievo. È importante uscire da questa chiusura mentale. Più ricevi solidarietà, più hai speranza, e quindi reagisci meglio alla malattia».
Per quanto tempo dovrà convivere con la terapia?
«Dovrò conviverci per sempre, sperando che non ci sia una resistenza ai farmaci, perché può succedere anche questo».
Dove trova la forza?
«È il mio carattere. Sono sempre riuscito a tirare fuori le unghie e a combattere. Fa parte del mio modo di fare: non mi sono mai abbattuto. A volte mi chiedo chi me lo fa fare, ma poi parlo con qualcuno, mi sfogo e reagisco. Adesso sono tornato anche in consiglio comunale: mi diverto, mi trovo bene».
Quando inizia la sua attività politica?
«Nel 1993, quando mi sono candidato nel Patt alle elezioni provinciali. Poi nel 1995 sono entrato in consiglio comunale: ho fatto quattro anni di opposizione contro Dellai. Nel 1999 abbiamo costituito il primo centrosinistra autonomista, a livello provinciale non c’era. Mi sono candidato con Pacher e in quella consiliatura sono diventato delegato allo sviluppo del centro storico. Nel 2005 mi sono candidato di nuovo e sono diventato presidente del consiglio comunale, sempre con Pacher. Poi sono stato assessore al decentramento con Andreatta. E ora sono tornato in consiglio dopo l’elezione di Stanchina in consiglio provinciale».
Lei è sempre stato nel centrosinistra autonomista, ma nasce come uomo di destra o no? Era stato vicino al Movimento sociale italiano…
«Ma non avevo nemmeno 18 anni. Sono stato coinvolto, ma senza ragionare più di tanto. È stata una cosa momentanea che non ha portato niente di qualificante. Per carità, non bisogna rinnegare niente, ma è stata un’esperienza giovanile. Avevo avuto un momento di crisi, tant’è che avevo smesso di andare a scuola. Poi nel 1971 sono andato a fare il militare e ho scoperto che appartenevo a un mondo in cui non mi trovavo. E per vent’anni me ne sono fregato della politica».
Già, perché lei è un farmacista.
«Inizialmente mi ero iscritto a Medicina, a Ferrara, ma poi, quando avevo 23 anni, è morto mio padre. Siccome la mia famiglia aveva la farmacia in piazza Duomo, sono passato al corso di Farmacia. Poi mi sono iscritto a Scienze dell’alimentazione a Padova e da lì ho cominciato a seguire i migliori atleti in giro per il mondo, prima con le fiamme gialle, poi con i carabinieri, la polizia, fino a entrare nella nazionale maschile e femminile di sci alpino».
Qualche atleta illustre?
«Beh, con il mio staff abbiamo seguito Alberto Tomba. Ricordo ancora la sua gara in Val Badia, la prima del gigante Alta Badia, o la sua vittoria ai giochi olimpici di Calgary 1988. Poi ho seguito Quario e Magoni nella nazionale femminile. Nel ciclismo ho seguito quasi tutti. Sono stato anche capo della spedizione sugli ottomila con Fabio Stedile, ma poi non sono partito per problemi fisici. Ma è tutta roba del passato, ora mi godo il mio tumore (ride)».
Com’è nata invece la passione per la poesia?
«È nata nel 2013, all’epoca scrivevo tanto per una rivista e stando molto tempo con i gomiti sul tavolo, mi venne un’infiammazione del nervo ulnare. Sono stato operato. In quello stato di sofferenza ho cominciato a guardare il mondo da un’altra prospettiva. Ho iniziato a vedere le piccole cose della natura, quindi la geometria infinita della natura. Ho scritto 500-600 poesie, ho venduto fino a 1.500 copie. Poi ho abbinato la fotografia alla poesia per rendere la parola visione. Ho fatto anche musica. Ho voluto sperimentare l’arte al 100%».
Che rapporto ha con il dolore?
«Prima trovavo ispirazione dalla sofferenza. Con la sofferenza puoi entrare in contatto con la natura. Un rapporto che libera sensazioni. Ora, però, ho perso qualsiasi ispirazione. Con il tumore non riesco a fare questa immersione. E non riesco più a scrivere. Si vede che mi colpisce a livello psicologico. Eppure io sono sempre stato una persona proiettata al futuro, anche in politica».
Torniamo alla politica. Perché ha rotto con il Patt?
«La rottura nasce dall’impegno che avevo preso con i cittadini nel 2020. Per me la coerenza è una cosa importantissima. All’epoca, quando ero anche capogruppo del Patt, avevo fatto un patto con Ianeselli. Sono rimasto fedele a quel patto. Poi quando sono tornato in consiglio, trovandomi bene con Uez, ho deciso di lavorare con lui e rimanere coerente con la scelta che avevo fatto».
Cosa ne pensa della svolta a destra del Patt a livello provinciale? Ora il «suo» partito governa con Fugatti.
«Il Patt è sempre stato fuori dai blocchi. Fa parte del suo Dna non aderire completamente a nessuna coalizione. Noi con Ianeselli, infatti, non abbiamo mica aderito alla coalizione di centrosinistra, ma abbiamo fatto un patto sul programma. Non è una novità che il Patt faccia alleanze diverse. L’obiettivo del Patt è sempre stato quello di far valere i valori autonomistici. Se ti appiattisci su uno schieramento diventi solo un numero. In questa fase solo il centrodestra ti permetteva di avere due assessorati. Dal punto di vista della strategia politica, non ho nulla da obiettare. Dopodiché io sono sempre stato con il centrosinistra autonomista e quindi resto coerente: pacta sunt servanda».
Si candiderà alle prossime elezioni comunali?
«Se ci sono le condizioni, vado avanti con la politica: mi fa bene come cura terapeutica».
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