Pallavolo
giovedì 8 Febbraio, 2024
di Alessio Kaisermann
Ha tanto da raccontare, Alessandra Campedelli, ma ancor più avrebbe voglia di dimostrare. Allenatrice, insegnante, mamma e compagna: vuole fare tutto, e possibilmente farlo bene ma vorrebbe anche fare qualcosa per il ruolo della donna che nel mondo della pallavolo – dice – è ancora molto lontana dall’essere considerata.
Campedelli, lei ha allenato la nazionale femminile sorde, ha guidato l’Iran femminile ai giochi islamici in Turchia vincendo l’argento ed ora si sta per imbarcare verso il Pakistan dove guiderà la nazionale senior femminile. Qual è il comune denominatore di tutte queste «strane» sfide?
«È il mio carattere. Io di tanto in tanto sento il bisogno di evadere, di uscire dalla mia zona di comfort per trovare nuovi stimoli».
Fa l’insegnante, è mamma, potrebbe allenare una squadra più vicina a casa. Non le bastano?
«Qui si apre un mondo di riflessioni. Innanzitutto devo ribadire che ciò che faccio va nella direzione del mio “credo”, ovvero che lo sport è uno strumento per superare tante questioni: quelle di genere, della disabilità, di cultura. E poi c’è un aspetto più legato al ruolo della donna».
Ovvero?
«Il fatto che possa allenare altre squadre è vero, si, ma non a certi livelli. Ci faccia caso, in Italia non ci sono allenatrici sulle panchine di Serie A. Maschi o femmine che siano. Ci sono solo allenatori».
In effetti. Perché questo?
«È una questione di cultura. In Italia non c’è la volontà di dare spazio alle donne in panchina, e il Trentino non si distingue».
Ma lei ha mai provato a bussare a qualche porta?
«Certo che l’ho fatto, ho chiesto più volte alla Federazione ma non ho mai ricevuto risposta. Si, tutti mi elogiano, dicono di apprezzare il mio lavoro ma nessuno mi ha mai fatto una proposta. Ma il problema non è solo dei dirigenti, le stesse atlete spesso preferiscono allenatori uomini».
Ci spieghi meglio, per favore.
«Le ragazze che giocano dicono che preferiscono essere allenate da uomini, perché un rimprovero o una sollecitazione preferiscono riceverli da un uomo. Ma se noi donne riteniamo di avere bisogno della voce e del temperamento maschili per ricevere i giusti stimoli allora abbiamo qualche problema. Dobbiamo guardarci dentro».
Da qui, allora, il suo sì alla sua passata esperienza come Ct della nazionale iraniana?
«Sembrava una sfida stimolante sotto molti aspetti, non ultimo certamente anche il tentare di affermare il ruolo della donna in un Paese dove sapete bene quale sia la considerazione per il genere femminile».
Com’è andata?
«Beh, avevo accettato con entusiasmo. Avevo parlato con la Federazione ricevendo precise garanzie invece, poi, mi sono resa conto di essere stata solo usata. Mi avevano scelto per facciata, per dimostrare al mondo che anche l’Iran è un Paese aperto e che offre pari opportunità a uomini e donne ma non è andata così. Ho capito, dopo un po’ che non potevo fidarmi, non ero nemmeno più sicura che quanto io dicessi (in inglese, ndr) venisse tradotto correttamente alle atlete. Lì nessuno, o quasi, parla inglese o altre lingue se non la loro. Ho scoperto poi che la Federazione era al braccio con un governo sanguinario. L’ho capito troppo tardi ma in quello stesso momento sono tornata in Italia».
Ora l’esperienza in Pakistan. Obiettivi? Condizioni?
«Gli obiettivi sono far crescere la pallavolo in un Paese dove, comunque, si è già ad un certo livello. Prima di me, della nazionale pakistana se ne è occupato anche Giovanni Guidetti, adoperandosi perché potessi partecipare a uno stage in Turchia. Lui mi ha spinto ad accettare perché lì si può lavorare. Serve trasmettere metodi di allenamento ma anche di selezione dei giovani per le nazionali. Si vuole preparare le donne a rappresentare il Pakistan sulla scena internazionale. Ci sto. Ho organizzato tutto sostenuta dall’Ambasciata italiana in Pakistan, sono tranquilla».
A casa che le dicono?
«I miei figli sono grandi, ormai, e mi spingono ad accettare nuove sfide, condividono con me il senso dell’avventura vivendola un po’ come missione. Il mio compagno mi sostiene, non mi chiederebbe mai di rinunciare a ciò che mi fa sentire realizzata. Posso sottolineare una cosa?».
Dica…
«Si parla di Iran, di culture retrò ma non è che in Italia non ci sia del lavoro da fare è…? Culturalmente parlando».
l'intervista
di Davide Orsato
L’analisi del giornalista che ha di recente pubblicato un manuale per spin doctors dal titolo «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace)