Salute

martedì 4 Aprile, 2023

Amianto, ecco la mappa del rischio. In Trentino 166mila metri quadri da bonificare entro 3 anni

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La Provincia ha aggiornato le tabelle. Rovereto è il comune più esposto. L’assessora Segnana: «Monitoriamo», Ruscitti: «L’incuria aumenta i pericoli»

Un gigante addormentato. Si potrebbe descrivere così la presenza di amianto cementizio in Trentino. La provincia, nei giorni scorsi, ha aggiornato l’elenco degli immobili contenenti asbesto. Il risultato sono due tabelle: nella prima sono elencate le strutture che richiedono interventi urgenti, mentre la seconda contiene quelle che vanno monitorate. Sono due le voci che vengono tenute in considerazione dagli ispettori dell’unità operativa di igiene pubblica dell’Apss quando fanno i monitoraggi: i danni alla struttura e l’indice di degrado. «L’indice è un voto finale – spiega Francesco Pizzo dell’Unità operativa igiene e sanità pubblica – Il tecnico compie una serie di valutazioni sullo stato della copertura, se riporta crepe o sfasamenti, ma tiene conto anche del contesto in cui è inserito l’immobile. Se vicino ad esso ci sono parchi, scuole o abitazioni l’indice finale sarà più alto». Con un punteggio superiore al 70 l’intervento è necessario entro un anno, da 50 a 70 si hanno 3 anni di tempo. Il quadro che ne emerge è quello di una presenza ancora massiccia di amianto in provincia, ma va detto che lo scopo di queste rilevazioni è quello di identificare l’asbesto prima che il degrado sia tale da destare preoccupazione per la salute delle persone.
La mappa dei siti degradati
I dati analizzati sono quelli relativi al primo tabellario, su cui sono riportate le strutture che richiedono interventi di bonifica urgenti, entro 1 o 3 anni.
Tracciare con gli occhi la mappa dell’amianto in provincia di Trento è un po’ come ripercorrerne le tappe della sua storia industriale. Non è un caso che in cima alla lista ci sia Rovereto, con più di 60mila metri quadri di superficie di amianto, per cui sono necessari interventi nei prossimi anni. «È l’eredità industriale della città – commenta Giancarlo Ruscitti dirigente del dipartimento salute della Provincia – Ai tempi non si conoscevano i problemi legati all’amianto e scelte che allora sembravano accessibili si pagano adesso». Gli immobili più importanti sono due capannoni, uno a Borgo Sacco e uno a Rovereto che misurano ognuno più di 6.000 metri quadri. Al secondo posto c’è Trento, ma con una superficie complessiva molto lontana dalla Città della Quercia, circa 27.000 mq. L’edificio più importante è un capannone di 5.500 metri quadri che ha un indice di degrado superiore a 70. Se al terzo posto si trova Arco (più di 11.000 metri quadri) ci sono alcune voci che stupiscono per le grandi metrature in relazione alla superficie del paese interessato. È il caso di Roveré della Luna con 5360 metri quadri complessivi, frutto di due capannoni e un deposito per macchinari da bonificare quanto prima.
Indice di sicurezza
Nonostante si parli di numeri significativi, in totale in provincia i metri quadri di amianto che dovrebbero essere rimossi entro 3 anni sono più di 166.000, gli esperti spiegano che si tratta di misure di prevenzione. «Parliamo di cemento amianto, una fibra compatta molto diversa dall’amianto friabile che invece va rimosso istantaneamente – spiega Francesco Pizzo – Questo asbesto, usato in edilizia, rimane compatto nella struttura dei tetti a meno che non lo si spacchi o sia eccessivamente degradato. Quindi non c’è un rischio legato alla dispersione nell’aria della fibra». «Dobbiamo rimuoverlo gradualmente. La situazione è monitorata ogni anno. Non parliamo di materiale talmente degradato da rilasciare le fibre in aria» gli fa eco l’assessora provinciale alla salute Stefania Segnana. La mappatura che viene fatta, quindi, serve a rilevare quali dovranno essere i prossimi interventi, ma non indica un pericolo imminente. «L’amianto è pericoloso quando sfarina, quando rilascia le micro-polveri in aria, ma non è questa la situazione – spiega Giancarlo Ruscitti – Noi ci stiamo occupando di quelle situazioni storiche che non sono pericolose adesso, ma che lo possono diventare con l’incuria degli anni». Tenere monitorata lo stato di salute degli immobili e procedere gradualmente alla rimozione dell’asbesto, è questa la strategia, che passa dai processi di smaltimento.
I costi del passato
«Ci sono tre modi di rimuovere una copertura in amianto – spiega Francesco Pizzo – La rimozione, che prevede di incapsulare il tetto, senza romperlo, e portarlo in discariche apposite (tutte fuori provincia). Se la copertura è in buono stato si può fare l’incapsulamento, ossia la si vernicia con una resina vinilica che evita il distaccamento delle fibre. Il terzo metodo è il confinamento, ma è poco utilizzato perché si rimanda solo il problema». Si tratta comunque di interventi costosi perché si deve pagare la rimozione, lo smaltimento e la realizzazione di un nuovo tetto. Per questo esistono degli incentivi che ora però hanno una forma diversa. «Ad oggi i contributi vengono erogati solo se oltre alla rimozione dell’amianto si realizza anche un miglioramento energetico per le aziende» dice l’assessora Segnana. Tradotto: bisogna sostituire l’amianto con tetti muniti di pannelli solari.
«In futuro dovremo arrivare a rimuovere tutto il cemento amianto presente in provincia – conclude Francesco Pizzo – Tuttavia non si tratta di situazioni a rischio».
Il gigante insomma dorme ancora, meglio rimuoverlo prima che si svegli.