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sabato 8 Giugno, 2024

Andrea Gorfer, il trentino che fa volare le Ducati: «Il primo titolo? La rimonta incredibile di Pecco Bagnaia»

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L’ingegnere laureato a Trento ha inventato un robot che traccia la pista: «Sono cresciuto nel mito di Casey Stoner»

Quando Francesco «Pecco» Bagnaia ha tagliato il traguardo del Mugello, lo storico tracciato italiano della Motgp, la scorsa domenica dietro di lui, lontano quasi un secondo, c’era il compagno di squadra Enea Bastianini. Dietro le due rosse «ufficiali» hanno poi visto la bandiera a scacchi le Ducati Desmosedici di Jorge Martin e Marc Marquez. La prima moto non targata Ducati a tagliare il traguardo è stata la Ktm di Pedro Acosta staccata di quasi 8 secondi. In un mondo di velocità pura, dove si va alla caccia di ogni particolare per guadagnare un vantaggio anche di pochi decimi di secondo, in quel distacco c’è tutta la magia della favola Ducati: una piccola squadra (se messa a confronto dei colossi giapponesi) che da Borgo Panigale lancia la sua sfida al mondo. Una sfida che negli ultimi anni sta sicuramente vincendo grazie al «manico» di piloti come Bagnaia, al progetto portato avanti dai progettisti, dal lavoro ai box di ingegneri dedicati al più piccolo particolare della moto per darle un vantaggio. Ma al Mugello la Ducati il suo distacco ha iniziato a costruirlo già dal giovedì, ben prima che le moto scaldassero i motori. Se le prove libere iniziano il venerdì, infatti, il giovedì è il giorno dedicato dai piloti al giro a piedi della pista. Un momento in cui i piloti disegnano le traiettorie che vogliono tracciare, mentre un ingegnere li segue con un carrello per raccogliere i dati. Il giro pista dei piloti ducati però è stato diverso, ad accompagnarli c’era un robot intelligente capace di raccogliere milioni di informazioni, ricreare in 3d la traccia immaginata dai piloti e fornirla alla squadra di ingegneri che prepara il setup della moto. Un robot che deve il suo genio alla mente di un giovane ingegnere trentino il cui cuore da sempre batte per le moto e la Ducati: Andrea Gorfer. «Fin dalla prima volta che ho messo le mani su un motorino ho avuto la passione delle moto – racconta Gorfer al telefono mentre si prende una pausa dal lavoro nella sede di Ducati Corse a Borgo Panigale – La sfida è stata trovare un percorso che mi permettesse di unire quello che so fare a quello che amo fare». E Gorfer, 34 anni di Trento, ci è riuscito, passando in primis dall’Università della sua città e diventando poi progettista e inventore per Ducati. Tifoso no, ma quello solo perché lo era sempre stato, ben prima di diventare Motogp Electronics & Electronic system designer per Ducati Corse
Gorfer ci racconta il suo percorso?
«Ho iniziato nel 2009 a Povo con la laurea triennale in Ingegneria elettronica, mi sono laureato nel 2013 e poi mi sono iscritto a Meccatronica ad indirizzo robotica proprio per avvicinarmi al mondo delle moto perché avevo questo tarlo. Dopo il primo anno di corso però ho trovato a Bologna un master in ingegneria per le moto da corsa, non ci ho pensato e mi sono iscritto subito. Visto che il master era nei weekend, durante la settimana seguivo l’università e poi scendevo a Bologna nei fine settimana. Quando ho finito il master nel 2015 mi ha subito contattato Ducati che aveva delle posizioni aperte».
Un sogno diventato realtà?
«Sì, ho iniziato a settembre 2015 in sala prove come addetto allo sviluppo delle componentistiche elettroniche, ruolo che ho tenuto fino al 2020 quando ho iniziato a progettare sistemi elettronici per le moto della Motogp e Superbike. Poi dal 2020 ho iniziato a fare il progettista a tempo pieno, in tutto questo tempo non ho mai smesso di portare avanti la laurea in meccatronica, seppur con i ritmi, più lenti da lavoratore, e alla fine mi sono laureato quest’anno e la mia tesi è stata proprio il robot che abbiamo presentato al Mugello».
Com’è nato il robot di cui tutti parlano?
«Ha due date di nascita. La prima è nel 2018 quando il carrello che accompagnava i piloti nella camminata in pista fu portato da me per una riparazione. Pensai e dissi ai colleghi: “Ma perché non facciamo un robot?”. Lì per lì ci mettemmo a ridere, ma il seme ormai era piantato e ho continuato a pensarci. La seconda data è il 2022 quando dovetti pensare alla mia tesi di laurea e ho capito che volevo fosse questo robot. Ci ho lavorato con il mio professore e con un collega e finalmente siamo riusciti a portarlo in pista al Mugello».
Mi sembra di capire che la passione per la moto sia il comune denominatore della sua storia?
«Sì fin da quando ho messo le mani sul “cinquantino” e forse anche prima. Quando ho dovuto immaginare il mio futuro lavorativo era qui che mi vedevo, dovevo solo capire come arrivarci. Non sono mai stato uno studente da 110 e lode, ma sapevo che la mia passione per questo settore avrebbe potuto fare la differenza. La fortuna è stata anche quella di trovare un master specifico a Bologna che mi ha messo in contatto con docenti che oggi sono i miei colleghi».
Da appassionato di moto Valentino Rossi era il suo idolo?
«Sicuramente lui ha attirato me come tanti altri, era uno showman dava sempre spettacolo. Però devo confessare che a me ha sempre fatto impazzire Casey Stoner. Vedere questo australiano pazzo lanciato come un razzo in ogni curva mi faceva saltare dalla sedia. Con le moto vieni attratto dallo spettacolo e poi ti appassioni alla parte tecnica».
Quando pensava a un futuro nelle moto pensava alla Ducati?
«Si ho sempre amato questa moto e la sua storia. Un’azienda relativamente piccola che vuole sfidare i colossi giapponesi dà soddisfazione provare a vincere qui».
E di recente state vincendo eccome.
«Ce l’abbiamo fatta e ci siamo ripetuti, mi sa che li abbiamo anche messi un po’ in crisi (ride, ndr). Il segreto è non accontentarsi mai, finita la festa per un titolo si torna in sala a progettare la moto per l’anno dopo. Anche perché gli avversari stanno facendo lo stesso e, in uno sport che si gioca sui dettagli, basta poco per passare da una posizione di vantaggio a una di svantaggio».
Com’è stato vincere il primo titolo?
«Pazzesco perché a meta campionato eravamo sotto di credo 98 punti. Poi però “Pecco” ha iniziato a vincerle tutte. Ricordo che l’ultima gara siamo andati a vederla tutti insieme a Borgo Panigale in azienda, quando Bagnaia ha tagliato il traguardo è esplosa la festa».
Bagnaia che tipo è?
«Un tranquillone, è molto riservato, ma anche molto trasparente. Direi che è proprio come si vede in tv. Come lo vedi appare non si maschera, è un bravo ragazzo».
Qual è il segreto di Ducati e del suo successo?
«Che è un ambiente molto fertile. Le idee che nascono non vengono mai contrastate, anzi vengono analizzate e poi sostenute se si pensa che possano dare un vantaggio, perché alla fine lo scopo di tutto questo è che la moto vada più veloce. Il riscontro finale è sempre il tempo sul giro. Anche il robot serve a quello, ci permette di creare simulazioni più veritiere, permettendo poi ai colleghi di trovare soluzioni più efficaci grazie a questi dati. Io qui non ho mai visto progetti derisi, stoppati o trascurati, anzi siamo molto sostenuti e infatti, se ci fai caso, Ducati è spesso quella che porta le novità più particolari e sorprendenti in pista. Tutte idee nate dalle teste geniali dei miei colleghi in un ambiente in cui la creatività è sostenuta».
Pensa che il suo percorso universitario a Trento l’abbia aiutata?
«Mi ha aiutato molto, mi ha dato delle competenze di base fondamentali e non solo. Mi ha dato la dedizione all’obiettivo, ai tempi era l’esame, e la testardaggine necessaria a raggiungerlo. Un ambiente che ti fa capire che le cose non si ottengono facilmente, ma che quando ce la fai è una grande soddisfazione».
Il sogno è quello di entrare nella squadra ai box che segue i piloti per il mondo?
«In realtà no. Sono contento nel mio lavoro di progettista, vorrei continuare a fare questo magari potendo dedicarmi ancora di più alla progettazione. Potrei dire che il mio sogno è vedere i miei robot dappertutto, ma la realtà è che sto già vivendo il mio sogno».