L'intervista
giovedì 3 Novembre, 2022
di Alessio Kaisermann
Ha 23 anni e sembra che di strada ne abbia già percorsa molta. Ce n’è dell’altra, però, da coprire e ha tutta l’intenzione di farlo. Andrea Pinamonti, attaccante trentino del Sassuolo, si confessa, dalla crescita nell’Inter al mito di Icardi e l’amore per le freccette.
I primi calci al pallone nel cortile di casa a Tassullo, in val di Non, poi?
«A 4 anni non mollavo la palla un istante. Mio padre riuscì a convincere i dirigenti della Bassa Anaunia (società che ha sede a Campodenno ndr) a farmi frequentare gli allenamenti delle giovanili nonostante non avessi ancora l’età sufficiente. Frequentai, poi, alcuni stage organizzati in val di Non, a Cavareno e lì scattò la scintilla».
Come andò?
«Quando compii 8 anni il selezionatore fece parlare i dirigenti dell’Inter con i miei genitori».
Capiva cosa stava accadendo?
«A 8 anni capivo poco. Pensavo solo a giocare. Dopo 4 o 5 partitelle in cui riuscii a mettermi in evidenza l’Inter fece, a mamma e papà, la proposta di trasferirsi tutti a Milano. Mi volevano nel loro settore giovanile ma i dubbi erano tanti e prevalse il “no grazie”».
Immaginiamo il malincuore di papà Massimo, grande tifoso dell’Inter. Come lo è lei, Andrea.
«Eh già ma trovammo un compromesso. L’Inter si accordò con il Chievo, molto più vicino al Trentino. Mi allenavo lì; un pulmino veniva a prendermi ogni giorno al casello di San Michele all’Adige».
«Fino a quando?
«Fino ai 14 anni, poi l’Inter convinse mamma e papà a trasferirmi a Milano. Avrei continuato gli studi e potevo crescere nelle giovanili del club».
Cosa provò in quei momenti?
«Era il famoso sogno di ogni bambino che si stava realizzando. Per la prima volta stavo fuori casa senza i genitori; all’Inter furono bravi nel non farmi mancare nulla. Superai la nostalgia pensando a quei miei compagni che provenivano da Paesi stranieri e, quindi, con genitori lontani».
L’Inter puntò molto su di lei.
«Sì. Tanto che a 16 anni mi proposero il mio primo contratto da professionista aggregandomi alla Primavera, con ragazzi tre anni più grandi di me».
Come si trovava?
«Bene. Spesso ci si allenava assieme alla prima squadra e trovarsi di fronte a dei miti, magari proprio i tuoi miti, era emozionante».
Quando e come avvenne, invece, la chiamata più importante?
«Era un pomeriggio di novembre del 2016. Ero in allenamento con la Primavera. Ad un tratto fermarono il lavoro e mi convocarono negli uffici; ero preoccupato di aver combinato qualche “cazzata” e temevo un provvedimento. La prima squadra stava preparando la sfida con lo Sparta Praga di Europa League e mi dissero che si era infortunato Palacio. Il mister (Stefano Pioli ndr) aveva bisogno di un attaccante di riserva e scelsero me. Mi vennero i brividi».
Era il suo primo grande passo.
«Sì e non fu l’unico. Due settimane dopo Pioli mi convocò anche per il ritorno schierandomi fra i titolari. Eravamo già eliminati ma per me fu il momento della fiducia».
Entrare in prima squadra che emozioni regala?
«Prima sei un tifoso e un attimo dopo sei un collega dei tuoi miti. Allenarmi con Icardi, che era il mio idolo, è stato fantastico. Era gentile. Mi aiutava».
Nell’estate del 2018 lei passò al Frosinone poi il ritorno all’Inter con, in panchina, Antonio Conte.
«Con il Frosinone è stata la mia prima vera stagione in Serie A perché giocai con regolarità poi tornai all’Inter e fu un altro passo importante. Era il 2021, vincemmo lo scudetto ed esordii in Champions League. Segnai anche un gol, in campionato, contro la Sampdoria».
Poi altre avventure Empoli e Sassuolo. Chi osserva il suo ruolino di marcia potrebbe essere spinto a credere che l’Inter, o i club maggiori, non facciano per lei. Rischia di passare per uomo di «seconda fascia». Che ne pensa?
«Penso che chi la vede così capisce poco o nulla. Sapete quanti ragazzi fanno il mio stesso percorso ma in Serie A non ci arrivano? Oppure la raggiungono ma tornano subito indietro? Credo di essere uno dei pochi giovani passati dalle giovanili alla Serie A senza essere mai stati in B. Io lavoro per dimostrare che valgo questa categoria».
Lei oggi vive in un mondo dorato. Come gestisce i suoi risparmi e, soprattutto, c’è il rischio di montarsi la testa?
«I miei genitori hanno esperienza nella gestione economica (papà Massimo è direttore della Cassa Rurale valle di Non, Rotaliana, Giovo ndr). Ogni cosa la condivido con loro. Montarmi la testa? Non disdegno il lusso, lo ammetto e so di concedermi cose per altri proibitive. Nonostante questo, però, non ostento. Credo, ad esempio, che pochi sappiano che auto possiedo o dove trascorro i momenti di relax. Concedeteci, però, di fare anche la vita dei 20enni, perché questo siamo. La gente spesso non comprende il fatto che siamo pur sempre ragazzi».
A proposito di svaghi e relax. Quando torna in Trentino cosa ama fare?
«Torno poco in val di Non. Quando riesco mi divido a metà fra momenti con la famiglia e momenti con gli amici più stretti. Di solito si va al bar vicino a casa e giochiamo a freccette».
A freccette nel bar di paese. Nessuno la interrompe?
«C’è sempre qualcuno che vuole avvicinarmi allora, dopo qualche tiro, mi fermo e faccio volentieri magari dei selfie. È un piccolo paese, la gente è più o meno sempre la stessa; mi salutano e mi lasciano tranquillo».
Il suo rapporto con i social?
«Ho profili Facebook e Instagram ma non li amo. So, però, che per chi fa il mio mestiere è importante esserci. Storie e post sul campo ma poco di altro, non mi piace essere in mostra. Molte cose le faccio di nascosto; non perché siano sbagliate ma perché preservo la mia vita privata».
Come si trova al Sassuolo? Ritiene di essere lì solo di passaggio?
«Sto bene e, no, non sono di passaggio. Il Sassuolo ha investito molto per avermi e qui ho tante aspettative. Voglio conquistarle ma con testa perché le ambizioni, a volte, possono diventare dei limiti. Qui c’è il clima giusto».
Ancore un paio di cose. Anzi un paio di gol da ricordare
«La doppietta segnata contro il Napoli l’anno scorso con l’Empoli».
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