Teatro
giovedì 21 Settembre, 2023
di Francesca Fattinger
Il terzo weekend di programmazione estiva a Centrale Fies continua all’insegna dell’«amore duraturo». Domani in scena alle ore 21 Sotterraneo con L’Angelo della Storia, Premio Ubu Spettacolo dell’anno 2022: uno spettacolo che è una personale mappa del paradosso, in cui la protagonista è «la natura essenzialmente narrativa di noi sapiens, ovvero la nostra tendenza a trasformare quasi sempre la realtà in un racconto».
Daniele Villa, partiamo dai voi. Chi si nasconde dietro a Sotterrano? Quando nascete e perché questo nome?
«Sotterraneo è un collettivo dietro e dentro il quale si nascondono e collaborano Sara Bonaventura, Claudio Cirri ed io, ma in realtà a ogni produzione si allarga in un super collettivo, perché tutti i collaboratori partecipano al processo creativo. Quindi nel caso dell’«Angelo della Storia» si tratta degli altri performer in scena, ovvero Lorenza Guerrini, Giulio Santolini e Daniele Pennati, e ovviamente chi ci ha aiutati per luci, suoni e costumi. Sotterraneo nasce nel 2005 a Firenze e con l’ingenuità tipica dei vent’anni il nome ci è uscito abbastanza didascalico, perché semplicemente abbiamo cominciato a provare in un magazzino che era al di sotto del livello dell’asfalto e quindi il primo anfratto ci ha dato il nome che tuttora ci portiamo addosso».
Le vostre produzioni indagano le possibilità linguistiche del teatro focalizzandosi sulle contraddizioni del presente. Il teatro quindi come luogo di cittadinanza ma anche della complessità?
«Ogni percorso artistico ha le sue parole chiave che sono come nodi di una mappa, per noi il teatro è quel luogo dove l’intelligenza collettiva si raduna in piccole comunità temporanee per porsi un problema legato alla contemporaneità. Quindi sì: “cittadinanza”, nel senso di partecipazione alla riflessione sullo stato delle cose presenti, e «complessità», perché nella fase storica in cui ci troviamo abbiamo a che fare con una complessità e una quantità di informazioni e interpretazioni senza precedenti e il rischio è che questo generi un tale senso di disagio e inadeguatezza in tutti noi da farci cercare risposte semplici e immediate. Invece la cultura, intesa come attività artistica, divulgativa e di pensiero collettivo, dovrebbe agire come antidoto e allenare tutti noi a una maggiore attenzione e profondità di analisi rispetto al caos che ci circonda».
Che ruolo ha il pubblico in questo?
«È una componente per noi centrale nella formula chimica di ogni spettacolo: non usiamo mai nessun tipo di quarta parete, i nostri spettacoli hanno sempre o un coinvolgimento dialettico del pubblico o in ogni caso un canale comunicativo aperto, frontale e diretto che mette sempre in campo la compresenza qui e ora tra performer e pubblico. Per questo lavoriamo su un teatro stratificato sia a livello del senso, quindi del pensiero e delle idee che quel teatro condivide, ma anche a livello di linguaggio. Ad esempio nell’Angelo della Storia abbiamo usato tutta la grammatica teatrale che riuscivamo a mettere insieme, testo, spazio, canto, danza, oggetti, per far sì che il ventaglio di possibili contatti con le spettatrici e gli spettatori fosse il più ampio, complesso e dinamico possibile».
Parliamo ora dell’«Angelo della Storia» che andrà in scena a Centrale Fies domani. Di che spettacolo si tratta?
«Lo spettacolo parte da presupposti filosofici, basti pensare al chiaro riferimento a Walter Benjamin e a molti altri autori, ma punta poi a trasformare questi presupposti teorici in una macchina teatrale immediata e accessibile, dove il dinamismo, l’ironia e l’intersecarsi delle narrazioni che portiamo in scena rendano lo spettacolo stesso chiaro ed efficace senza perdere la complessità di partenza. L’Angelo della Storia in sintesi parla della natura essenzialmente narrativa di noi sapiens, ovvero del fatto che trasformiamo quasi sempre la realtà in un racconto per poterla comprendere, gestire, processare e poter risolvere le ambiguità, le contraddizioni e i coni d’ombra della realtà. Poi però capita che finiamo per credere ai nostri racconti anche quando la realtà ci smentisce. Quindi individualmente e collettivamente tendiamo a rimanere intrappolati in percezioni distorte della realtà rette dai nostri pregiudizi, automatismi e paure. E questo è un problema che accompagna la nostra specie fin dalle origini, ma che oggi è un problema di un’urgenza secondo noi paragonabile a pochi altri».
Con Centrale Fies il rapporto è molto lungo e importante. Che sensazione vi dà ritornare?
«Abbiamo un legame con Centrale Fies pressoché ininterrotto dal 2005: è un posto in cui abbiamo presentato praticamente tutto quello che abbiamo fatto e con cui abbiamo un legame che va oltre il livello professionale. È un luogo da cui non ce ne andiamo mai anche quando ce ne andiamo, nel senso che la progettualità, l’immaginario, la ricerca sui linguaggi che a Fies si portano avanti è una cosa che teniamo sempre ben presente mentre progettiamo i nostri spettacoli, li immaginiamo a Fies mentre li pensiamo ed è come far loro un esame di contemporaneità».
Domani, oltre a Sotterraneo, torna Alessandro Sciarroni, Leone d’Oro alla carriera per la Danza 2019, con Save the last dance for me e con Dialogo Terzo: IN A LANDSCAPE, il lavoro firmato con CollettivO CineticO. Sabato vanno in scena tra gli altri Anagoor, Leone d’Argento 2018, con Ecloga XI e Marco d’Agostin, Premio Ubu 2018 come Miglior Performer Under 35, che porta per la prima volta a Centrale Fies Gli anni.
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