welfare
martedì 27 Febbraio, 2024
di Tommaso di Giannantonio
Superare gli aiuti monetari e trasformare i sostegni al reddito in voucher per servizi di conciliazione. Perché? Per aumentare l’occupazione femminile e, allo stesso tempo, la natalità. È questo il nocciolo della revisione dell’assegno unico provinciale tratteggiata dall’assessore allo sviluppo economico Achille Spinelli al forum de il T (edizione di domenica). Ma la riforma fa discutere. Se da un lato il Coordinamento provinciale degli imprenditori ritiene che sia «la strada giusta», dall’altro i sindacati Cgil, Cisl e Uil del Trentino invitano la Provincia a concentrarsi dapprima sull’aumento degli obblighi per i beneficiari che non lavorano.
In questo caso ci riferiamo alla quota A dell’assegno unico, cioè il sostegno al reddito in contrasto alla povertà. Per questa misura Piazza Dante spende 21 milioni all’anno a favore di quasi 9mila famiglie. «L’assegno unico provinciale rappresenta uno strumento fondamentale per il sostegno alle famiglie con figli e nei confronti di chi è occupato in settori poveri. Lo dimostrano i dati: il 90% di chi percepisce il sostegno al reddito lavora, nonostante abbia contratti precari e discontinui», sottolineano i segretari generali Andrea Grosselli (Cgil), Walter Alotti (Uil) e Michele Bezzi (Cisl). In buona sostanza, molte delle persone beneficiarie (quelle occupabili naturalmente) lavorano già. «Bisogna partire da qui dai dati sulle famiglie che beneficiano di queste integrazioni al reddito, per avviare riforme che garantiscano maggiore efficacia nell’attivazione sul mercato del lavoro e nell’inclusione sociale — rilanciano i sindacati confederali — Crediamo che ogni ipotesi di riforma debba partire da un aumento degli obblighi di attivazione per chi non lavora. Su questo fronte siamo pronti come in passato a dare il nostro contributo per migliorare condizionalità e politiche attive».
Il Coordinamento provinciale degli imprenditori si è già confrontato sulla riforma dell’assegno unico con la giunta provinciale. «Crediamo che sia la strada giusta — spiega il presidente del Coordinamento, Mauro Paissan — Il tema dell’occupazione femminile è fondamentale per invertire sia il trend di stagnazione produttiva sia il trend di denatalità. Però non bisogna fermarsi all’assegno unico. Bisogna costruire un ecosistema di servizi di welfare per le famiglie». Su questo punto imprese e sindacati concordano. «Contro la denatalità, bisogna investire di più, non basta rivedere gli strumenti di integrazione del reddito — considerano i segretari generali — Per questo serve l’indicizzazione dell’Icef al costo della vita, l’aumento delle detrazioni del reddito da lavoro femminile e il rafforzamento delle politiche per i giovani e la casa. Per fare questo la giunta deve aprire un confronto serio con le nostre organizzazioni in modo da avviare un processo di revisione che non sia calato dall’alto, ma per il quale si condividano gli obiettivi di fondo. Accanto alla necessità di qualificare e diffondere i servizi di conciliazione vita lavoro, se il tema è sostenere l’occupazione femminile bisogna quindi anche intervenire su differenze retributive, precarietà, part-time involontario, sulla promozione cioè della qualità del lavoro per le donne. In pratica bisogna partire dagli Stati Generali del lavoro».
Accolto con favore anche il richiamo alla semplificazione della burocrazia, ma ora «si passi davvero ai fatti», è l’appello di Paissan. Mentre raccoglie un certo scetticismo, sia da parte delle imprese sia da parte dei sindacati, la proposta di modificare i paletti dei contributi provinciali alle imprese, da unità lavorative annue a stock di costo di lavoro.
i numeri
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