L'intervista

domenica 25 Febbraio, 2024

Assegno unico, la riforma di Spinelli: «Superare gli aiuti monetari: voucher per conciliare il lavoro»

di

Il forum del T con l’assessore Spinelli: «Nido e doposcuola con i voucher per aumentare l’occupazione femminile. Terzo mandato di Fugatti? Lo spero»

Stop agli aiuti monetari. L’Assegno unico provinciale sarà completamente riformato. «I sostegni saranno convertiti in voucher». In buoni da spendere per servizi di conciliazione: dal babysitteraggio al doposcuola, fino al caregiver.

«La finalità è duplice: aumentare l’occupazione femminile e la natalità», spiega al forum de il T Achille Spinelli, assessore provinciale allo sviluppo economico, alla ricerca, all’università e al lavoro. Questo è solo uno dei tre tasselli di un processo più ampio di sviluppo del territorio. Gli altri due sono la digitalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione e la crescita della manifattura trentina. «Abbiamo abbandonato la classe media produttiva, in modo particolare a Rovereto». Ed è proprio a partire dalla Città della Quercia, dove ci saranno le elezioni comunali, che Spinelli ha cominciato a costruire un nuovo progetto politico: «Vogliamo diventare il primo punto di riferimento della politica trentina. Terzo mandato di Fugatti? Mi auguro di sì».

Quali obiettivi si è prefissato per questa legislatura?
«Uno degli obiettivi è quello di avere una pubblica amministrazione semplice. Vogliamo far transitare tutta la pubblica amministrazione trentina – dai Comuni alla Provincia – in un’unica banca dati. Cittadini e imprese devono poter accedere a un sistema digitale e usufruire di tutti i servizi pubblici: dall’autorizzazione per l’occupazione di suolo pubblico alla dichiarazione Icef. Non solo. La pubblica amministrazione deve avere anche un ruolo proattivo: invia la notifica all’impresa per il pagamento dell’Imis, ricorda al cittadino che deve rinnovare la patente o che deve pagare il bollo. In Italia la burocrazia costa circa 250 miliardi all’anno alle imprese. In Trentino si può fare una stima di 2,5 miliardi. Dobbiamo tagliare questi costi».

Quali sono gli ostacoli?
«A livello governativo ci viene vietata l’interoperabilità delle banche dati. Le istituzioni locali dipendono ancora dall’amministrazione statale, che però ci fornisce i dati in maniera selettiva. Faccio un esempio: se avessimo i dati bancari e quelli delle Agenzie delle Entrate avremmo già l’Icef composto».

Come si può superare questo ostacolo?
«Lavorando sui tavoli europei, ad esempio con la Dg Connect, con la quale abbiamo un buon rapporto. Da Bruxelles ci dicono che a livello di privacy non esiste il problema che si pone l’Italia perché la pubblica amministrazione è in grado di utilizzare i dati in maniera sicura».

Ci sono esempi a cui fate riferimento?
«Attualmente abbiamo una sperimentazione in corso sul “Wallet digitale”, un portafoglio dei dati del cittadino e dell’impresa: il singolo utente accede con la propria chiave, da qualsiasi posto, e può usufruire dei servizi messi a disposizione dalla pubblica amministrazione. Le difficoltà sono l’integrazione tra enti, la scarsa propensione al cambiamento e la paura di perdere ruoli all’interno della pubblica amministrazione. Un’altra sperimentazione interessante è quella della “Trentino Guest card”, una piattaforma che utilizza l’intelligenza artificiale per proporre esperienze mirate ai turisti sulla base di una serie di dati: gusti, capacità di spesa, provenienza. Questo è un esempio di sistema proattivo».

Una delle sfide del suo assessorato è quella di aumentare l’occupazione femminile. Su quali leve intendete agire?
«In Trentino si licenziano 600 donne all’anno durante la gravidanza. E sono pochissime quelle che rientrano nel mercato del lavoro. Questo è un danno altissimo per l’economia e per le stesse donne perché perdono indipendenza, reddito e previdenza. La prospettiva è quella di portare più donne al lavoro. Oggi abbiamo alcune evidenze: la donna produce 1,2 volte in più dell’uomo in termini di prodotto interno lordo. Questo perché la donna, quando abbandona la casa, lascia un mondo che va gestito e che genera economia: babysitter, badanti, assistenti per la disabilità. Questo mondo vale il 20% di quello che la donna produce al lavoro. Quindi, se abbiamo molte donne che rinunciano alla carriera professionale, abbiamo un’economia ferma e in parte sommersa. Il sistema pubblico deve cogliere l’opportunità di sostenere questa economia: per metà attraverso le proprie risorse e per metà attraverso un sistema di convenzioni con il privato sociale. In questo modo, abbassando il costo dei servizi di conciliazione, permettiamo alle donne di andare a lavorare. Mettendo quel 10% la Provincia si porta a casa un 120%: al lavoro la donna produce 100 e a casa si genera un’economia che vale 20».

Quali saranno gli strumenti?
«Oggi la Provincia eroga sostegni al reddito attraverso l’Assegno unico, ma non sappiamo se queste risorse si traducono in servizi usufruiti. Faccio un esempio: una donna di 52 anni che ha deciso di abbandonare il lavoro dieci anni fa per accudire un genitore con disabilità, ha fatto perdere le sue tracce, ha perso le competenze e ha perso anche la previdenza futura. Noi vorremmo provare a ridare una prospettiva a queste persone. Non ti do più un’erogazione monetaria, ma ti do un servizio equivalente da sfruttare nel sistema convenzionato, a patto che tu vada a lavorare. In questo momento stiamo individuando dei territori dove sperimentare questo nuovo sistema. L’ottica è quella di convertire il sostegno monetario in servizi, a meno che la persona non abbia delle particolari fragilità. In pratica, al posto del sostegno monetario, daremo un voucher da spendere sul mercato convenzionato dei servizi. Tornando all’esempio di prima, quella donna di 52 avrà un voucher per avere un assistente domiciliare».

Questo varrà anche per i servizi di babysitteraggio e nido?
«Sì, e varrà anche per i servizi del doposcuola. Nei territori più turistici abbiamo genitori che lavorano a ciclo continuo: se non c’è il doposcuola la gestione dei figli diventa complicata. Nei casi di particolare fragilità potremmo convertire il sostegno monetario in costo del lavoro: se quella donna di 52 anni non è più in grado di reinserirsi nel mercato del lavoro potremmo costruirle un contratto di lavoro da caregiver ad hoc. Per fare questo potremmo utilizzare il Progettone come strumento».

Quali sono le finalità di questa riforma dell’assegno unico?
«Sia chiaro: l’obiettivo non è risparmiare. L’obiettivo è aumentare l’occupazione femminile e quindi favorire la natalità. Sappiamo che nei Paesi in cui le donne lavorano si fanno più figli. Attualmente in Trentino il tasso di fertilità è a 1,4: l’obiettivo è quello di arrivare a 2,1».

Sul fronte della ricerca quali sono gli obiettivi?
«Noi abbiamo centri di ricerca molto validi, ma le imprese trentine fanno fatica a capire l’importanza di investire in tecnologia e innovazione. C’è chi pensa che la ricerca siano le startup innovative, come se queste fossero l’unico modo per trasferire ricerca nel mondo dell’impresa. Ma in realtà la ricerca può entrare in qualsiasi fase di un’impresa. Ecco l’obiettivo è quello di far collaborare di più ricerca e impresa attraverso il sovvenzionamento di ricercatori e bandi manager, finalizzati a portare persone di qualità all’interno delle imprese. Oggi abbiamo bisogno di portare più retribuzioni di livello sul nostro territorio».

Questo è uno dei temi emersi dal tavolo sui salari con sindacati e categorie economiche. Come si intende affrontare?
«Su questo fronte la manifattura è centrale. Oggi la nostra composizione economica è sbilanciata sul turismo, ma settori come il turismo, il commercio e l’artigianato non producono livelli retributivi superiori. Oggi abbiamo poche persone che guadagnano mediamente di più. Questo è il problema. Per aumentare le retribuzioni dobbiamo incentivare il trasferimento tecnologico e attirare imprese e lavoratori da fuori. Dobbiamo avere imprese che possano accogliere lavoratori di qualità superiore. Un altro problema del Trentino è quello di avere un numero ridotto di sedi di impresa, cioè pochi quartier generali, dove manager e ricercatori lavorano e vengono pagati di più. A Rovereto, ad esempio, abbiamo perso molte attività familiari di grande valore e di conseguenza abbiamo perso tanta classe media. L’effetto si vede anche sul commercio: le famose boutique, i negozi di un certo valore, non ci sono più perché non c’è più un pubblico con reddito. Io ho l’impressione che ci stiamo riempiendo di belle parole, ma stiamo perdendo la focalizzazione sulla produzione, sul valore, sul reddito».

Vede una crisi della classe media in Trentino?
«A Rovereto la vedo in maniera più definita. Rovereto è la prima città per insediamenti industriali, ma è un territorio manifatturiero di esclusiva produzione operativa. Sta diventando un territorio operaio. Non è un giudizio di valore, però Rovereto sta diventando una città dove i supermercati esplodono, dove nel fine settimana lo sport preferito è quello di riempire i carrelli. Una volta c’erano famiglie imprenditoriali e professioni molto forti con maggiore capacità di spesa. Ma alzare l’asticella della classe imprenditoriale e della classe media è un percorso impegnativo».

Quali strade si possono percorrere?
«Una strada è quella di vincolare i contributi pubblici a obiettivi molto forti. Nei nuovi patti per lo sviluppo, ex accordi negoziali, vogliamo mettere dei nuovi paletti ai contributi per le imprese. Di solito i paletti erano le unità lavorative annue: l’incentivo era legato a tot unità lavorative. Ma il problema è la paga di questi lavoratori. Per questo motivo stiamo pensando di sostituire le unità lavorative con uno stock di costo del lavoro: se vuoi il contributo devi portare 1 milione di costo del lavoro. Allo stesso tempo, come dicevo prima, dobbiamo aumentare la capacità attrattiva del territorio e implementare l’innovazione nelle nostre imprese».

Rovereto andrà presto al voto per eleggere il nuovo sindaco. Lei, come segretario della lista Fugatti presidente, è uno dei principali promotori di una nuova alleanza civica nella Città della Quercia. Quali sono le basi di questa nuova iniziativa politica?
«Rovereto è il caso emblematico di una città che viveva di grande sviluppo, effervescenza sociale, culturale ed economica e improvvisamente, un giorno, si è svegliata molto ferma, impaurita, depressa, priva di stimoli. Questo dura da troppo tempo. Ripeto: a Rovereto mi sembra che la classe media produttiva sia stata completamente abbandonata. C’è sicuramente un problema sicurezza, ma probabilmente è più percepito che realtà. Il mio approccio sulla sicurezza è diverso dal manganello e dal controllo del territorio. Possiamo raccontarci tutto quello che vogliamo, ma le pattuglie delle forze dell’ordine non aumenteranno. Dobbiamo approcciarci diversamente alle fragilità, e questo non è tanto da centrodestra. Dobbiamo prenderci carico dei minori non accompagnati e degli stranieri e portarli via da quella situazione. Non abbiamo bisogno di eroi, ma di eroi diffusi, che ogni giorno ti tolgono il problema, senza che tu lo sappia. Il modello del centrodestra classico è stato utilizzato molte volte a Rovereto, ma con risultati perdenti. Il polo roveretano è un polo civico e autonomista che guarda al centro progressista dei moderati. Non stiamo imponendo nulla, ma vorremmo tenerci fuori dalle liturgie dei partiti tradizionali. Stiamo ragionando anche con quel mondo civico vicino a Valduga e in parte alla reggente Robol. Il modello del centrodestra classico mi sembra logoro. Con questa iniziativa non si sta disconoscendo l’alleanza provinciale, anzi siamo il partito del presidente, figuriamoci. Stiamo cercando di allargare il baricentro politico».

Il «centrodestra classico» è logoro anche a livello provinciale. Qual è l’orizzonte di questo polo?
«Vogliamo diventare l’area politica di riferimento del centrodestra, con l’obiettivo di allargarci ai moderati più progressisti che in questo momento guardano a Italia Viva, Azione e Campobase. Non solo. Siamo ancora più ambiziosi: vogliamo rappresentare il primo punto di riferimento dell’intera politica trentina, non solo del centrodestra».

Patt e La Civica – che fanno parte del nuovo polo roveretano – hanno iniziato a pensare a una fusione, verso un unico partito autonomista. Dove si colloca la sua lista in questo percorso?
«Io mi sento escluso da questo percorso, lo vedo come spettatore interessato, ma in questa fase non ci sono elementi da discutere».

Nei giorni scorsi in Parlamento si è discusso del terzo mandato dei presidenti di Regione: la proposta, targata Lega, è stata bocciata. Lei è favorevole?
«A me piacerebbe che ci fosse il via libera al terzo mandato perché mi sembra una cosa giusta. Lo vedo nei fatti: il primo mandato serve a capire, il secondo per cominciare a realizzare i progetti, il terzo per consolidarli. Io ho ancora fiducia che ci possa essere un via libera, poi le ambizioni politiche possono portare a una competizione su questo ruolo. Si vedrà. La Sardegna ha avuto un suo esito, il Veneto è ancora da capire».

E il Trentino nel 2028? Ci sarà un Fugatti tris o sarà lei il candidato presidente del centrodestra?
«Il 2028 è lontano. Abbiamo un presidente pienamente al comando e condurrà questa legislatura in un’ottica di prospettiva: indipendentemente dai suoi destini porterà con forza le ragioni del Trentino in tutte le sedi e in tutte le situazioni. Mi piacerebbe che nel 2028 il centrodestra possa essere ancora un riferimento politico. Se poi ci sarà la possibilità di una prosecuzione con Fugati mi farà piacere».