Le reazioni
lunedì 27 Gennaio, 2025
di Redazione
«Un insulto ai lavoratori trentini». A poche ore dall’atteso aumento d’indennità dei consiglieri regionali (e dunque delle due Province autonome) c’è già chi chiede un «passo indietro», perché quei circa mille euro in più, in un momento in cui la gran parte dei dipendenti e dei liberi professionisti lottano contro gli effetti dell’inflazione — magari aspettando il rinnovo del contratto per la loro categoria — risuonano come una nota stonata. Per contro, è un coro unanime quello che arriva dai sindacati, che condannano un’iniziativa che sembra riportare il dibattito politico indietro di oltre una decina d’anni, ai tempi dell’antipolitica.
Cgil: «Distanza siderale tra politica ed elettori»
Sono le sigle unitarie ad alzare la voce contro il provvedimento, che porta gli stipendi da 9.800 a 10.917 euro, con un aumento, dunque, di 1.117 euro mensili (lordi). «I nuovi aumenti delle indennità dei politici — afferma Andrea Grosselli, segretario della Cgil del Trentino — rappresentano l’ennesimo schiaffo alle lavoratrici e ai lavoratori trentini. Nessuno di questi potrà mai godere di rinnovi contrattuali a tre cifre, con aumenti mensili come quelli che riceveranno in questi giorni – arretrati inclusi – i consiglieri regionali. I politici trentini che sono corsi a incassare queste cifre, sono gli stessi che ad infermieri, insegnanti e personale amministrativo hanno concesso aumenti minimi nell’ordine di 170 euro al mese meno della metà dell’inflazione registrata, facendo perdere potere d’acquisto e così impoverire migliaia di famiglie trentine. Se fossero stati coerenti, avrebbero dovuto concedersi gli stessi aumenti dei dipendenti pubblici, non un euro di più. Invece riceveranno sei volte tanto Se a questo si aggiunge il fatto che praticamente tutti i consiglieri provinciali trentini hanno scelto il vitalizio invece di aderire alla previdenza integrativa regionale come tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, appare ancora più chiara la distanza siderale della politica dagli elettori».
Cisl: «Serve un passo indietro»
A chiedere un ripensamento è Giusseppe Pallanch, segretario della Cisl Funzione Pubblica: «È triste e avvilente usare la scusa del rinnovo dei contratti per un tornaconto di casta», le sue parole.
Per Pallanch, «È errato raccontare di un’equiparazione della percentuale sui tabellari e del valore assoluto, narrare che in questo modo si vadano a compensare importanti differenze. Non è assolutamente vero che il contratto della Regione è più generoso perché è assolutamente in linea con altri comparti, tanto che c’è chi non ha sottoscritto gli accordi. Anzi, è necessario chiudere la stagione contrattuale attuale per tutti i comparti con le risorse ancora in campo e avviare quella 2025/2027 con risorse nuove. Questa situazione surreale rischia di allontanare ancora di più le persone dalla politica».
Uil: «Sarebbe stata meglio una moratoria»
«Meglio una moratoria, ossia un rinvio dell’adeguamento salariale, piuttosto che un aumento». Lo sostiene il neosegretario della Uil del Trentino, Walter Largher. «In un momento in cui le lavoratrici e i lavoratori affrontano crescenti difficoltà economiche, e le pensionate e i pensionati vedono il loro potere d’acquisto eroso — spiega Largher — ci saremmo aspettati un gesto diverso: una moratoria più che un aumento. Un segnale di riconoscimento e affinità verso chi rappresenta il mondo del lavoro in Trentino, soprattutto in un’epoca in cui le nuove generazioni vedono allontanarsi sempre di più l’età pensionabile e sono costrette a trasferirsi all’estero per vedersi riconosciute retribuzioni coerenti con il costo della vita.
Questo ennesimo episodio rischia di alimentare una disaffezione già crescente verso la politica, mettendo in discussione l’idea stessa di partecipazione al bene comune. Ci aspettiamo che i rappresentanti regionali riflettano sul messaggio che queste scelte inviano alla società. Il bene comune non è solo uno slogan: è una responsabilità condivisa, che deve sapersi tradurre in impegno».