L'esperto
venerdì 3 Marzo, 2023
di Davide Orsato
Il responso è arrivato nella serata di ieri: tutti positivi i tre campioni biologici prelevati alle foci del Sarca e analizzati all’Istituto zooprofilattico delle Venezie nella sede di Legnaro, in provincia di Padova. Ma fin da subito c’erano pochi dubbi: «Già l’anamnesi aveva rivelato come gli esemplari presentassero segni di aver contratto la malattia. Del resto, è quello che ci aspettavamo: è difficile, in questo periodo imbattersi in gabbiani morti, soprattutto nei numeri che vediamo in questi giorni». A parlare è Calogero Terregino, direttore del centro di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria e della struttura complessa di virologia speciale all’istituto triveneto.
Dottor Terregino, il fenomeno del ritrovamento di gabbiani morti è esteso a tutto il Garda, in particolare sulla sponda bresciana e veronese. I fenomeni rilevati in Trentino sono collegati?
«Sì, come i casi restanti emersi in alcune aree umide del Nord Italia: si arriva fino alla provincia di Ferrara .Ma i ritrovamenti maggiori stanno avvenendo sul Garda e sul fiume Adige. Questi casi hanno dimostrato che l’aviaria è diffusa anche sulla sponda trentina. E ci aspettavamo che, anche in quella zona, emergessero altri casi: è difficile che restino isolati».
L’influenza aviaria si presenta ciclicamente, ma è la prima volta che si assiste a un ritrovamento così ampio di specie selvatiche sul Garda. Cosa succede?«In Italia abbiamo osservato spesso casi emersi con la sorveglianza attiva e passiva, ma erano per l’appunto dei casi sporadici mentre non ci era mai successo di trovare tanti uccelli selvatici morti di influenza aviaria nello stesso momento . Il fenomeno è più tipico dei paesi del Nord Europa. Questi gabbiani arrivano molto probabilmente dalla Francia e stanno svernando nel nostro paese, migreranno nuovamente a Nord fra qualche settimana».
Secondo il vostro report i casi emersi nell’ultimo mese sono oltre ottanta e riguardano prevalentemente gabbiani comuni (Chroicocephalus ridibundus), con poche eccezioni (aironi, rapaci e tortore dal collare). Come mai questa particolare specie è così esposta?
«È noto che questo virus, l’H5N1, ha la tendenza a mutare. In questo caso abbiamo notato che il virus che sta colpendo in gabbiani è frutto di un mescolamento di geni di un ceppo che colpisce tipicamente i gabbiani, l’H13. Questo particolare mix probabilmente gli dà un a propensione a infettare questa specie. Inoltre, i gabbiani hanno un comportamento “comunitario”: vivono, mangiano, dormono insieme e ciò aiuta la diffusione del patogeno».
Che aspettative avete sull’andamento dell’epidemia?
«Questi uccelli non sono stanziali, dunque andranno via fra qualche settimana e il rischio di diffusione dovrebbe scemare».
C’è il pericolo che vengano coinvolte altre specie?
«Sì, per esempio ci sono stati casi di spillover in allevamenti di visoni. Tra la fauna selvatica preoccupano carnivori come volpi, faine e anche orsi e linci che potrebbero cibarsi delle carcasse, anche se non è chiaro se possano esserci trasmissioni all’interno di queste specie».
E con gli uomini? Ci sono casi documentati in Asia anche negli ultimi giorni…
«Al momento non ci sono evidenze di un pericolo di contagi diffusi. Dal 1997 sono stati osservati circa novecento casi “umani” da H5N1: quasi sempre per un contatto diretto e prolungato con volatili domestici infetti».
Cosa occorre fare per minimizzare i rischi?
«Se si notano gabbiani o altri uccelli morti occorre evitare di toccarli e chiamare l’azienda sanitaria».
Ci sono rischi per gli allevamenti, inclusi quelli più piccoli?
«Sarebbe buona prassi tenere al chiuso pollame e altri animali avicoli d’allevamento, coprendo mangiatoie e abbeveratoi. Gli allevamenti industriali sono ben organizzati da questo punto di vista, quelli più piccoli meno. È una precauzione che sarebbe importante prendere in ogni caso ancora per qualche settimana, soprattutto nelle vicinanze di fiumi e specchi d’acqua».