Storie
venerdì 3 Gennaio, 2025
di Alberto Folgheraiter
Nell’alba ventosa di un anno al tramonto, 007, inviato speciale al servizio di sua maestà l’informazione, approdò tra le montagne, fra San Lorenzo in Banale e Molveno, in un laboratorio costellato di cavi, di minerali, di spinotti, di luci multicolori. Un mondo sconosciuto anche ai locali, emulo (?) di quel dottor Stranamore approdato al cinema giusto 60 anni fa. Lo accompagnava, con fare guardingo, l’agente speciale 001, al servizio di sua maestà l’immagine. L’ordine di M1, il direttore del giornale: capire per spiegare che cosa sottendeva la sigla Axs-M31.
Qualcuno, in paese, aveva avvertito gli ardimentosi: «Succedono cose strane a Deggia, giù nella valle del Bondai». Valeva la pena di andare a verificare. Il cancello, di quella che assomiglia a un’ipotetica «Base Alfa» di lunare memoria, è spalancato. Forse perché preceduti dalla telefonata-grimaldello della sindaca di San Lorenzo in Banale, Ilaria Rigotti.
Benvenuti nella fantascienza sul pianeta Terra. Dove gli alieni siamo noi dentro un «parco tecnologico» irto di antenne paraboliche, di strumentazioni, cavi e fili come ci accadde di vedere solo agli Universal Studios di Hollywood in California.
«Disinquinare l’ambiente»
Silvana Zambanini, titolare della struttura, si fa incontro con grande disponibilità. «L’azienda è nata nel 2002. Axs-M31 ricorda le origini di questa tecnologia molto avanzata che è stata portata per il pianeta dove, debbo dirlo, siamo in condizioni difficili. Nel senso che gli equilibri stanno a mancare».
E quindi? «Questa è una risorsa capace di ristabilire gli equilibri. Con questa tecnologia, estremamente avanzata, siamo unici al mondo». Su che cosa poggia? «Si basa sull’energia. Energia pulita, legata a una scoperta degli anni Ottanta. Da qui sono stati elaborati prodotti che hanno la capacità di disinquinare le matrici ambientali: terra, aria e acqua».
Alla parete alcuni dipinti (prima di dedicarsi ad Axs-M31 Silvana Zambanini è stata un’apprezzata pittrice) ma pure una tabella che rammenta il 50° anniversario «della scoperta Mendini» (1956-2006) e il 25° anniversario della «formulazione brevettata» (1981-2006).
In una intervista del 21 dicembre 2006, Alessandro Mendini, il ricercatore, annunciava: «Ho creato delle essenze magnetiche di tipo idrocompresso computerizzato con capacità di carica pari a 7.6 Gigawatt per mm3, una vera e propria tecnologia dell’energia che agisce secondo i principi di Madre Natura, i soli che ci possano sollevare dalla gravosità della fame dilagante».
Signora Zambanini, oggi che cosa produce la sua azienda? «Sono formulazioni disinquinanti che hanno il marchio europeo Biox. E poi abbiamo il centro di ricerca sul quale poggia tutto quanto. In un’altra ala del fabbricato abbiamo realizzato il centro produttivo. Inoltre abbiamo tutte le strumentazioni esterne che fanno parte del parco scientifico-tecnologico. Servono per la produzione di energia utile ai processi vitali delle piante».
Un litro a 220 euro
Tutto chiaro? Forse no. Tocca far ricorso al web, alla ricerca di una spiegazione comprensibile ai profani su che cos’è Bio Aksxter-M31, una delle produzioni che escono dai laboratori di Silvana Zambanini. La rete spiega che si tratta di «Concime per frutticole, orticole, cereali ed olivi ad azione disinquinante». Un flacone da 1 litro costa 220 euro; una tanica da 5 litri è venduta a 980 euro.
Ancora dal web: «La composizione di Bio Aksxter è unica al mondo in quanto caratterizzata dalle “cariche magnetiche idrocompresse computerizzate” il cui procedimento brevettato rende disponibili enormi quantitativi di energia indispensabile per lo svolgimento dei processi vitali di pianta e terreno. Le cariche magnetiche sono unità di energia di derivazione cosmica frutto della scoperta del ricercatore Alessandro Mendini. Siamo quindi nel mondo dei flussi magnetici, dunque dell’energia, dalla quale deriva la dimensione atomica base della materia».
«La nuova scienza»
Mestiere difficile quello del cronista che deve spiegare al lettore ciò che egli stesso non capisce. Torniamo alla nostra interlocutrice che, nel frattempo, ci ha fatti scendere nel laboratorio dove si aggira un tecnico, pure lui in camice bianco, e dove è proibito cogliere immagini (anche se qualche dettaglio ci scappa). Dal soffitto pendono grosse pietre, minerali sospesi cui sono fissati cavi come per un elettroencefalogramma planetario.
La signora Zambanini tenta di spiegare che «questa è una nuova scienza».
Ma oltre all’Universo siete collegati con qualche centro di ricerca universitario? «Abbiamo avuto figure importanti che si sono occupate di noi, tipo Mario Tozzi che è un divulgatore scientifico; il prof. Campanella dell’Università la Sapienza di Roma; l’università di Catania, il CNR (il Consiglio Nazionale delle Ricerche). Ci sono stati tanti enti che si sono avvicinati a questa cosa». Un conto è interessarsi, un altro approvare. «Diciamo che è mancato il dialogo perché trattandosi di una scienza avanzata non tutti sono disposti a lasciare le proprie torri d’avorio, le proprie certezze».
Perché siete finiti qui, in una valle tra le montagne? “Io ero già qui, quando ho incontrato il ricercatore che ha formulato tutte queste cose, che ha progettato le strutture che vede…».
Chi è Alessandro Mendini?
Ma chi è, esattamente? «Alessandro Mendini è un ricercatore autonomo, ha 82 anni, vive a Trento. Io ho investito su di lui e lui mi ha formata. E tutto ciò che abbiamo costruito lo abbiamo imparato da lui». Naturalmente avrà brevettato tutto. «C’era un brevetto ma dopo vent’anni è scaduto. Adesso non intendo brevettare nulla perché la tecnologia è talmente avanzata che il prodotto non si può copiare».
Nel laboratorio, oltre a chilometri di cavi, migliaia di sensori, si sono luci di vari colori: «Ci sono vari tipi di luce: all’infrarosso, ultravioletto, calda: rossa, gialla, bianca che servono per fare ricerca».
Si spieghi meglio, magari con un esempio così, forse, possiamo capire qualcosa: «Vede questi contenitori? Ci sono delle gocce di prodotto che, lasciate asciugare, formano tre strutture diverse». Paiono arabeschi su vetro. «Noi non forniamo prodotti alle piante ma riprogrammiamo il vegetale».
L’allontana grandine
All’esterno della struttura, nel «parco tecnologico», fra un’antenna parabolica e l’altra, quello che pare un modulo lunare è uno strumento che, secondo la nostra interlocutrice, dovrebbe tenere la grandine lontana dalle colture. «L’apparecchiatura – spiega – genera un campo magnetico che contrasta l’evento grandinigeno. Impedisce la formazione della grandine. Ed anche questo è un sistema unico al mondo».
L’avete sperimentato? «Sì, certo. Nel 2017 qui c’è stata una forte grandinata che ha causato danni perfino alle automobili. Da quell’episodio ha preso corpo l’idea di creare questo impianto antigrandine. In sette anni, nella zona ci sono state altre tre grandinate devastanti. Qui da noi nulla».
Lo strumento chiamato «Ant-gran» che raggio d’azione ha? «Va realizzato su misura, in base all’area da proteggere».
Se funzionasse a largo raggio i coltivatori potrebbero replicare il brindisi di Capodanno. E le compagnie di assicurazione sarebbero costrette a cercare nuovi clienti in altri campi, in altre campagne. Quanto a noi, cronisti del pianeta Terra abbiamo capito poco. Non ce ne voglia il direttore di questo giornale: le libagioni di fine anno, l’età che avanza… Houston, abbiamo un problema.
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