Cooperazione
domenica 19 Febbraio, 2023
di Margherita Montanari
Mette le mani avanti e dice che, prima di prendere una posizione, ha raccolto le considerazioni «di buona parte del credito». E chiarisce che alla base del richiamo c’è non tanto la fusione tra Cassa di Trento e Cassa Rurale Novella Alta Anaunia, bensì il progetto inedito di una banca regionale, che spazza via la tradizione delle rurali e preoccupa la base, tenuta al di fuori di ogni valutazione. Resta però che nell’esprimere un «sentiment» condiviso, nel corso del convegno organizzato ieri per riflettere sul futuro del credito cooperativo, il presidente della Federazione trentina Roberto Simoni non si è risparmiato dure critiche. Dirette, pur senza mai esplicitarlo, a chi gli stava seduto di fronte: il presidente di Cassa di Trento Giorgio Fracalossi. Le distanze tra l’esponente di vertice del credito cooperativo trentino e la guida del movimento di via Segantini erano già palpabili prima dell’intervento di Simoni. Con le repliche del banchiere si sono fatte siderali.
Ma riavvolgiamo il nastro. L’8 febbraio, è arrivato l’annuncio del processo di fusione tra Cassa di Trento e Cassa Rurale Novella Alta Anaunia. L’istituto che nascerà si chiamerà Banca regionale per il Trentino-Alto Adige. Un colosso che porta in grembo numeri distanti dalle piccole realtà del credito cooperativo: 32.539 soci, un patrimonio netto di 321 milioni di euro, 406 dipendenti, 53 filiali e 7,37 miliardi di massa amministrata. Sarà il primo istituto per dimensione e connotazione territoriale regionale e secondo del Gruppo bancario nazionale Ccb.
A dire di Simoni, le premesse mettono «radicalmente in discussione» i paradigmi della missione di una cooperativa di credito. A turbare la Federazione è il messaggio che viene trasmesso, la rottura della tradizione. Attraverso il cambiamento di «ambiti geografici di operatività, denominazione sociale (rinunciando al nome di “Cassa Rurale” per il quale abbiamo in passato combattuto per ottenere una deroga dal settore nazionale che rispettasse la nostra distintività) e obiettivi strategici di rottura». Una fuga in avanti che sarebbe fonte di preoccupazione soprattutto tra «i soci e i territori limitrofi, con particolare riguardo al vicino Alto Adige».
Non si contesta tanto la fusione. Non è la prima e non sarà l’ultima. In 10 anni, le rurali sono passate da 40 a 12. Nulla di nuovo, dunque. Se andrà in porto anche l’ultima Fondo-Trento, scenderanno a 11. L’elemento inedito nella vicenda, nonché quello che la Federazione mette sotto la lente, è la riorganizzazione. Ha per Simoni «ambizioni dimensionali apparentemente non giustificate da oggettive esigenze di stabilità e rafforzamento patrimoniale». Le scelte passate, infatti, non comportavano il cambio di nome, il cambio del territorio di servizio e, soprattutto, non sono mai state apprese da via Segantini a cose fatte.
«Le decisioni stanno maturando con un metodo che tiene in scarsa considerazione il confronto con tutti gli attori potenzialmente coinvolti: si tratta di scelte che impattano non solo sulle cooperative direttamente interessate, che legittimamente esercitano uno spazio di autonomia valutativa e decisionale, ma sull’intero ecosistema territoriale della cooperazione di credito. E perciò dovrebbero suggerire l’ascolto e il coinvolgimento preventivo anche di chi rappresenta la cooperazione trentina», la chiosa del presidente.
Le coordinate del credito cooperativo vanno oltre la permanenza sul mercato e la sostenibilità economica. Chiamano in causa «la partecipazione democratica», ossia l’ascolto di aspettative di famiglie e imprese della propria comunità di riferimento, e «un adeguato livello di responsabilità della classe dirigente verso la base sociale». Rompere gli schemi a favore dell’innovazione va bene, chiosa Simoni, ma non senza condivisione alla base. Magari concertando un «nuovo patto sociale». E non procedendo per «spallate solitarie». «Prima di abbandonare queste preziose realtà al loro destino, lasciandole sole a combattere una lotta impari con i colossi del credito, pensiamoci bene», la conclusione dell’intervento di Federcoop, condiviso da buona parte del mondo del credito, a giudicare dal lungo applauso in sala.
Mentre Simoni scagliava la sua invettiva, il presidente di Cassa di Trento e Cassa Centrale Giorgio Fracalossi era seduto in prima fila. Quando i ruoli si sono invertiti, la risposta dal palco (nel corso della tavola rotonda moderata da Simone Casalini, direttore de «Il T») non si è fatta attendere. Al di là dei vincoli della normativa del credito cooperativo, «noi siamo innanzitutto banche, e abbiamo la responsabilità di essere buone banche», che devono «tenere conto di modelli organizzativi in evoluzione». La seconda considerazione, sulle aggregazioni, ha rispedito al mittente le richieste di confronto di Simoni: «Non possiamo frenare la volontà delle singole casse attraverso progetti che vengono calati dall’alto. Le attività imprenditoriali sono responsabilità dei cda e delle basi sociali». Sulla sparizione del termine «Cassa rurale», connaturato alla tipologia delle casse nate sul territorio, liquida il richiamo di Federcoop («Non è il nome che fa la differenza, ma ciò che fai»).
Per l’assessore Mario Tonina «le preoccupazioni espresse da Simoni meritano attenzione e rispetto». Anche l’anima nazionale delle coop del credito alza le antenne. Il presidente di Federcasse Augusto dell’Erba, parlando del calo di casse rurali, banche di credito cooperativo e Raiffeisen nel panorama nazionale, ha disapprovato le aggregazioni. «Non guardiamo con molta simpatia alla riduzione di questi soggetti, perché pensiamo che la sovranità dei soggetti bancari, la loro indiscussa presenza sul territorio e la capacità di interloquire con i territori siano il valore tipico di questa categoria». Alla fine, però, sulla fusione voluta dai cda dovranno votare i soci di Novella e di Trento in autunno. Dopo l’eventuale accordo, servirà l’autorizzazione della capogruppo. E appare scontata. Dato che Fracalossi è sì presidente della Cassa Rurale di Trento, ma guida anche Cassa Centrale.