l'analisi
venerdì 4 Agosto, 2023
di Claudia Gelmi
Sono numeri da capogiro, quelli relativi agli incassi delle prime due settimane di programmazione del film «Barbie», uscito in Italia il 20 luglio scorso. Si parla di quasi un miliardo di dollari nel mondo, di cui oltre 350 milioni nel Nord America e 20 milioni di euro nel nostro Paese. Al suo debutto sul grande schermo, Barbie ha inoltre registrato il più alto incasso di sempre per una regista donna.
Ed è composto in prevalenza da donne il «popolo» di Barbie che affolla le sale dei cinema di Trento da un paio di settimane a questa parte: intergenerazionale, colorato (rigorosamente di rosa e fucsia vestito) e gioiosamente consapevole di assistere a un fenomeno di genere che riguarda in primis una storia comune che dallo «stereotipo rosa» si estende fino alla multiforme contemporaneità dei femminismi alle prese con il sempiterno e pervasivo ostacolo del patriarcato. «Vediamo entrare spesso nonna, mamma e figlia insieme, che immagino colgano aspetti diversi del film in base alle loro esperienze ed età», ci ha riferito Massimo Lazzeri, titolare di Cineworld, che a Trento gestisce i cinema Modena e Roma dove è in programmazione il film in questi giorni. «Ma ci sono anche molti uomini e una vasta comunità Lgbtq – aggiunge –. Stiamo assistendo a un fenomeno di costume, ed è questa la cosa interessante. Credo che “Barbie” avrà un’onda lunga, in quanto coinvolgerà anche le persone che ora non sono interessate o che prediligono i film d’essai, ma che in un secondo momento verranno incuriosite».
La pellicola diretta da Greta Gerwig con Margot Robbie nel ruolo di Barbie (e di coproduttrice del film) e Ryan Gosling in quello di Ken si colloca di fatto tra il fenomeno di costume e un’universale storia collettiva che ha accomunato le generazioni dagli anni Sessanta a oggi, accompagnandole nei mutamenti culturali ed educativi di milioni di bambine, sia nell’assecondare lo stereotipo di genere, che nell’opposizione allo stesso. Tutte e tutti portiamo impressa nel nostro background un’«esperienza di Barbie»: compagna dei giochi d’infanzia per la maggioranza, ripudiata da una minoranza di bambine poco «conformi», agognata da un’altra minoranza di bambini che «le bambole sono da femmine», motivo di compiacimento o di discussione per i genitori. Mattel (l’azienda madre della bambola e produttrice del film) ha attraversato i decenni cavalcando e orientando le mode e i mutamenti storici, e ora ci presenta una Barbie inserita nel tempo presente, pur nella sua dimensione fantastica, artificiale e «brandizzata». Partendo da un geniale prologo di ispirazione kubrickiana (il riferimento è a «2001 Odissea nello spazio»), in cui Barbie in persona libera finalmente le bambine dalla predestinazione «materna» e accudente inculcata fin dai primi giochi d’infanzia, il film si dispiega come un divertentissimo viaggio alla scoperta del mondo vero, dove il «Barbie World» incontra la vita reale e il potere della sorellanza, e dove il finora «accessorio» Ken viene a conoscenza dell’esistenza del patriarcato, esaltandosi non poco a riguardo al punto da scatenare una farsesca successione di fallimentari prove di machismo. Tra tante e intelligenti risate, brillanti monologhi, spettacolari performance e qualche momento di commozione, il film trasforma la lunga storia comune di autodeterminazione femminile, e di conseguenza anche di emancipazione maschile, in un rito collettivo gioioso senza pretese di intellettualizzazione, ma importante e rappresentativo di un tempo che ha interiorizzato nelle e nei più giovani consapevolezze impensabili in passato. Lo dimostra l’incessante afflusso di ragazze e ragazzi, bambine e bambini, spinti senz’altro da un’incalzante campagna di marketing, ma apparentemente molto coscienti di cosa stanno guardando e del messaggio trasmesso.
«Il pubblico non cala mai, siamo al 15esimo giorno di proiezione ed è come se fosse il primo – conferma infatti Lazzeri – siamo arrivati a 15 mila presenze, circa mille al giorno con quattro proiezioni quotidiane, di cui una sempre in lingua originale».
Dopo i tragici anni della pandemia, durante i quali si è assistito a un massivo investimento del cinema nelle piattaforme online a scapito delle sale, forse che «Barbie» sancisca, tra i tanti traguardi raggiunti da questo film, anche la fine della crisi del cinema? «Il cinema ha superato la crisi, possiamo dirlo ora – dichiara Lazzeri – Il pubblico è rientrato nelle sale, le persone si sono riprese gli spazi pubblici e hanno una gran voglia di condividere questa esperienza imprescindibile. Quest’anno a Trento abbiamo raggiunto i livelli pre-pandemia. Il nostro però non è mai stato un problema di pubblico, ma di carenza di prodotto, perché le produzioni si erano orientate sulle piattaforme; in un secondo momento hanno capito che il cinema in sala porta visibilità, reputazione e denaro in modo diverso dalla piattaforma. Il cinema va pertanto sfruttato in tutta la sua filiera, e da quando sono arrivate nelle sale le produzioni forti, è tornato anche il pubblico». Benvenuta dunque, «Barbie», e bentornato, cinema.