l'intervista
giovedì 27 Ottobre, 2022
di Tommaso Di Giannantonio
Sono passati ormai otto mesi dalla mattina del 24 febbraio, da quando il presidente russo Vladimir Putin ha dato l’ordine di invadere l’Ucraina. Inasprendo una crisi che durava, non da otto mesi, ma da otto anni: nel 2014, infatti, la Federazione russa ha invaso e annesso la Crimea e sostenuto i movimenti separatisti nella regione del Donbass, Ucraina orientale. Come spiega l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), l’ipotesi più accreditata è che Putin e i suoi generali, con la finzione dell’«operazione militare speciale», volessero mantenere nel lungo periodo il controllo dell’Ucraina orientale. Ma di fronte hanno trovato la dura resistenza di un popolo che «combatte per l’esistenza del proprio Stato», sottolinea Paolo Batacchi, direttore della Rivista italiana Difesa, periodico mensile di tecnica, storia e strategia militare. A settembre Kiev, forte del sostegno degli alleati della Nato, ha avviato una controffensiva nel nordest del Paese, riconquistando quasi tutta la regione di Kharkiv. E specialmente negli ultimi giorni il contrattacco si è riversato nella regione meridionale di Kherson, ossia uno dei territori, insieme a Zaporizhzhia e le due repubbliche Donetsk e Luhansk, che sono stati annessi formalmente dalla Federazione Russa lo scorso 3 ottobre. «Gli spazi diplomatici sono ristretti. L’unico esito possibile è una linea di divisione come in Corea», sostiene con fredda lucidità Batacchi. E intanto sarebbero più di sette milioni gli ucraini in fuga dal Paese.
Direttore, che tipo di guerra stanno conducendo Russia e Ucraina?
«Si tratta di un conflitto moderno, di tipo multi-dominio, cioè con diversi domini operativi: c’è una dimensione convenzionale ad alta intensità, una dimensione di guerra cognitiva molto pronunciata (lo abbiamo visto negli ultimi giorni con la narrazione russa sulla bomba “sporca” che starebbe preparando Kiev), c’è una dimensione cyber e una dimensione sottosoglia (lo abbiamo visto con i danneggiamenti al gasdotto Nord Stream). Un conflitto di questo tipo, con questa ampiezza, non si era mai verificato. È un conflitto che si studiava negli ultimi anni nelle accademie militari».
A fine settembre, dopo la controffensiva ucraina, Putin ha annunciato la mobilitazione parziale chiamando alle armi 300.000 riservisti. Cosa è cambiato?
«Al momento non è cambiato nulla. Prima di vedere gli effetti ci vorranno un paio di mesi. Nel frattempo, in attesa degli effetti della mobilitazione, Mosca ha spostato il conflitto su un piano non convenzionale, rendendolo appunto multi-dominio a tutti gli effetti: dalla minaccia del ricorso all’arma nucleare alla narrazione sulla bomba “sporca” (radiologica, ndr), fino alla guerra sottosoglia».
Che significato ha la controffensiva ucraina?
«Le due controffensive, a Kharkiv e Kherson, hanno evidenziato lo squilibrio numerico e quello a livello informativo e organizzativo a favore degli ucraini. Kiev riesce ad attaccare dove i russi sono più deboli e dove la densità operativa russa è meno elevata. I russi, con le attuali risorse umane a disposizione, non riescono a controllare un fronte così esteso».
Qual è il rapporto di forza?
«Difficile stabilirlo con certezza. Si stima che gli ucraini abbiano a disposizione 500-600.000 armati, a fronte di 150.000 russi. Se tutto va come i russi ritengono possa andare, dopo la mobilitazione si potrebbe riequilibrare il rapporto di forza. Ma la superiorità informativa dell’Ucraina, dovuta all’appoggio della Nato, rimarrà».
A che punto si trova la controffensiva?
«Siamo in una fase di stallo. Gli ucraini devono consolidare le loro posizioni, al contrario la Russia ha accorciato la linea e ora ha una densità operativa maggiore. Ci troviamo di fronte ad una stasi operativa, posto che la scorsa settimana gli ucraini hanno fatto una ricognizione di forze sul fronte di Kherson, dove però sono stati respinti. Al momento gli ucraini avrebbero le forze per tentare una nuova offensiva, prima che sopraggiunga l’inverno e prima che il terreno diventi difficile. Fin dove si potrebbero spingere? Difficile dirlo, dipende da una serie di variabili: c’è di mezzo la minaccia nucleare della Russia e anche la stessa disponibilità di Europa e Stati Uniti a continuare a garantire il supporto».
Qual è il livello tecnologico degli armamenti dell’Ucraina?
«È un livello paragonabile a quello russo, perché l’origine è la medesima: molti sistemi d’arma sono comuni perché derivano dalla dotazione dell’ex Unione sovietica. A ciò, però, bisogna aggiungere il sistema d’arma che gli ucraini hanno ricevuto dall’Occidente, che è tecnologicamente avanzato rispetto a quello russo. Tuttavia, l’elemento fondamentale è l’apporto informativo, a livello di intelligence, che gli ucraini ricevono dalla Nato».
Cosa si intende per apporto informativo?
«Satelliti, veicoli spia, veicoli da ricognizione, che operano appena fuori lo spazio aereo ucraino. Sono i mille occhi e le mille orecchie della Nato. I russi non hanno nulla di paragonabile. E questo permette all’Ucraina di colpire prima e meglio».
Qual è invece il livello tecnologico delle armi della Russia?
«Le armi russe hanno evidenziato limiti evidenti: il loro strumento convenzionale non è stato modernizzato, o non lo è stato fatto in maniera sufficiente, dopo la fine della Guerra fredda, sia per la componente terrestre che per quella aerospaziale. I russi, di fatto, non hanno armi di precisione, armi guidate, e mediamente i loro sistemi elettronici sono inferiori rispetto a quelli occidentali».
Che tipo di supporto riceve l’Ucraina dalla Nato?
«Riceve forniture di sistemi d’arma, forniture di carburante, supporto a livello di pianificazione, anche con consiglieri, di cui però non si parla. C’è poi una legione straniera che opera a fianco delle truppe di Kiev: ufficialmente sono composte da volontari, ma nei fatti è difficile saperlo. E riceve infine un supporto in termini di addestramento militare».
Qual è l’incidenza di questo sostegno?
«L’incidenza è notevole, basti pensare che solo la Polonia ha fornito 300 carri armati all’Ucraina e gli americani più di 100 pezzi di artiglieria».
Intravede possibili soluzioni diplomatiche?
«Quando la posta in gioco è così elevata gli spazi della diplomazia sono molto ristretti. Da una parte gli ucraini combattono per l’esistenza del proprio Stato, dall’altra i russi combattono per l’esistenza di un gruppo di potere, di una leadership che, se perde, va a casa. La posta in gioco è molto elevata e non vedo come se ne possa uscire se non con un cessate il fuoco, che cristallizzi la situazione per anni o per mesi. Questa è l’unica strada che vedo, l’unico esito possibile, almeno che uno dei due schieramenti non collassi».
Putin ha ancora l’appoggio da parte della popolazione russa?
«Credo che Putin goda ancora del supporto di una buona parte dell’opinione pubblica, soprattutto quella che vive nelle rurali ed esposta alla narrazione ultranazionalista. La Russia è comunque una grande potenza, con una sua storia peculiare».
Come si arriva a un cessate il fuoco?
«Quando nessuno dei due ce la fa più. A quel punto si tirerà una riga, com’è accaduto in Corea, dove da 70 anni c’è una situazione di questo tipo».
Una divisione come quella tra la Corea del Sud e la Corea del Nord in Europa?
«Siamo stati divisi per 50 anni, non mi sorprenderei più di tanto. E ora stiamo vedendo che i dividendi della pace sono stati solo una breve illusione. Purtroppo questa è la dura realtà della politica internazionale, che ha logiche completamente diverse rispetto alla politica interna».