L'intervista
martedì 9 Aprile, 2024
di Patrizia Rapposelli
«Appena nata sono stata abbandonata in ospedale. Dopo quattro mesi, sono stata adottata da due genitori meravigliosi, Angelina e Gino. Ma fino a quando non ho preso coscienza della mia storia, accettato di essere stata abbandonata, conosciuto mia mamma biologica, Luisa, sentivo mancare un pezzo d’identità».
A parlare è Emanuela Bizzotto, classe 1976, di Telve, la prima figlia adottiva in Trentino che dopo anni di battaglie legali, istanze al Tribunale e tanti no, nell’inverno del 2019, è riuscita a conoscere le sue origini. Una storia a lieto fine, perché ha realizzato un sogno per molti, ancora oggi, proibito a causa di leggi farraginose: incontrare la sua mamma biologica. Una storia che Emanuela ha deciso di mettere nero su bianco scrivendo il libro «Figlia di madre che non consente di essere nominata» (casa editrice Giovane Holden Edizioni Sas – Viareggio) in uscita proprio in questi giorni. Un vero inno all’adozione, la testimonianza che la famiglia si basa sull’amore e non sui legami di sangue. «Scopriamo la storia di due madri, vissute nell’Italia degli anni della ricostruzione del dopoguerra e del boom economico; dove le famiglie si trinceravano dietro il perbenismo per giudicare e infliggere colpe a chi aveva compiuto un errore. Leggendo le pagine di questo libro si delinea un’Italia che lotta ancora oggi contro il pregiudizio e le ingiustizie civili e dove il riscatto è ostacolato dalle ingiustizie sociali e culturali», si legge nella prefazione scritta dall’amica Maria Vittoria Nardini. Un libro autobiografico che, «vuole essere un faro per chi sta attraversando la mia stessa storia», dice l’autrice. Un bisogno di verità e di identità ha portato Emanuela, divenuta adulta e a sua volta madre, a intraprendere una battaglia legale per scoprire le sue origini. Una battaglia fatta di istanze al Tribunale dei minori per conoscere il nome della mamma naturale.
Emanuela, il titolo fa riferimento alla legge (la 184 dell’83) soprannominata «punizione dei cent’anni» che impedisce ai figli adottivi di conoscere le generalità dei propri genitori fin quando non sono decorsi i cento anni dalla nascita…
«Sì, sulla base di questa legge, per anni nessun figlio adottivo ha avuto possibilità di conoscere il nome della propria madre naturale. Siamo figli di madri segrete. Siamo più di 400 mila in Italia. Fortunatamente il tabù del silenzio sulle madri si è infranto».
Spieghi.
«Nel 2017 una sentenza della Cassazione a Sezioni Unite dice che la madre biologica in caso di interpello del figlio biologico può decidere di togliere l’anonimato apposto al momento del parto. Da vent’anni chiediamo una legge che garantisca il nostro diritto alle origini, da vent’anni i nostri appelli restano nei cassetti delle commissioni parlamentari. Oggi qualcosa è cambiato, ma non abbastanza».
Lei ha raggiunto il suo obiettivo?
«Sì. La vita toglie, la vita dà. Luisa ha deciso di incontrarmi dopo aver affrontato un duro percorso psicologico. Lei era una ragazza madre. Non poteva occuparsi di me. Una psicologa le disse di dimenticare: è più facile elaborare un lutto che un abbandono».
Il libro illustra anche uno spaccato della vita del secondo Novecento?
«Certamente. In quegli anni in Trentino i bambini adottivi erano in pochi e a Telve sono stata la prima. In paese le voci correvano veloci. Mamma e papà decisero di dirmi la verità a sei anni: temevano venissi a saperlo. In paese tante volte mi sono sentita giudicata, diversa. Esclusa».
Perché nel libro non si parla anche di suo padre biologico?
«Quella è un’altra storia. Luisa mi ha solo detto che era un soldato meridionale. La mia storia è fatta di destini che si intrecciano».
Una curiosità: lei Luisa non la chiama mai mamma…
«Non l’ho cercata per trovare una mamma, ma per conoscere le mie origini. Ho un bellissimo rapporto con lei».
Quando ha deciso di mettere nero su bianco la sua storia?
«Quando ho incontrato Luisa. Il libro era lì, pronto dentro di me, dovevo solo trovare il coraggio di condividerlo. Per questo ringrazio i miei genitori adottivi che amo infinitamente, mio marito, i miei figli e Maria Vittoria Nardini».
Il suo libro pensa potrà essere d’aiuto?
«Lo spero. Non ho mai odiato mia mamma naturale: mi ha donato la vita, poteva fare altre scelte… Io ho affrontato un faticoso percorso per ritrovarla, non per accusarla, ma per comprenderla».