Il caso, la battaglia
domenica 31 Marzo, 2024
di Daniele Benfanti
Il dolore indicibile di un padre che da sette anni assiste un figlio di 11 in stato vegetativo è emerso in tutto il suo dirompente strazio sabato mattina 30 marzo nella saletta di un hotel a Trento dove Giovanni Battista Maestri ha convocato la stampa. Per far uscire tutta la rabbia che lo divora da quando, alcuni giorni fa, è saltato sulla sedia vedendo che il caseificio di Coredo, il suo paese, ma anche la realtà cui imputa la gravissima malattia contratta dal figlio, ha ricevuto un marchio di eccellenza della Val di Non per il suo nuovo formaggio fresco nostrano (a latte pastorizzato).
Il dramma del piccolo Mattia
Il figlio di Giovanni Battista, Mattia, nel 2017, quando aveva 4 anni, mangiò del formaggio «Due laghi» a latte crudo, prodotto dal caseificio di Coredo, comprato presso lo spaccio situato in cima al paese, e risultato contaminato da escherichia coli Stec. Mangiato il sabato, dolori atroci la domenica, in stato vegetativo dal lunedì, come racconta il padre andando con la memoria a quelle tragiche giornate. «E pensare che quel formaggio a forma squadrata era indicato come dolce, gustoso, adatto alla merenda dei bambini. Non sono state rispettate le regole igieniche minime, la stagionatura minima, sono stati taciuti i gravi rischi che i prodotti a latte crudo possono avere per i bimbi. Oggi Concast parla di controlli severissimi, ma sono sicuro che le cagliate di latte crudo non sono controllate al 100%. So che il caseificio veniva avvisato delle ispezioni. Vengano a vedere mio figlio: ha 30 crisi epilettiche al giorno, prende 47 farmaci per flebo, è assistito 24 ore su 24».
Le richieste di Maestri
La rabbia è tanta e papà Maestri non vuole più contenerla: «Come potete verificare, per troppo tempo siamo stati in silenzio. Ma nessuno del Concast (consorzio cui afferisce il caseificio di Coredo, ndr), del Comune, della Provincia ci è stato vicino: solo due consiglieri di opposizione, Lucia Coppola e Filippo Degasperi». Nel mirino di Giovanni Battista c’è anche l’Apt: «Ha incredibilmente concesso il marchio Val di Non al caseificio che ha prodotto quel formaggio che ha “ucciso” mio figlio. I vertici dell’Apt vadano a casa. Alla presentazione del marchio per il nuovo fresco Val di Non hanno invitato le persone che ritengo responsabili di quanto accaduto a mio figlio. Con il mio avvocato stiamo intraprendendo azioni civili e penali: diano il marchio agli altri caseifici della Val di Non, non a Coredo, che l’anno scorso si è fuso con Tuenno, promuovendo proprio il casàro di Coredo. Mi sento preso in giro. Dopo anni sembra tutta un’azione per dare immeritata riabilitazione a quel caseificio. Mi sento anche offeso dalla pubblicità del Concast, che indica i suoi allevatori e produttori come “ribelli”: ribelli a cosa? Alle regole, all’igiene? Non scherziamo» conclude Maestri affranto.
Concast: difesa e scuse
Nel pomeriggio di ieri il gruppo Concast – Formaggi trentini ha diramato un comunicato in cui «intende rinnovare la propria vicinanza alla famiglia Maestri per quanto accaduto nel 2017. In merito alle accuse ribadite dal signor Maestri nel corso della conferenza stampa, a noi preme confermare nel merito quanto già contenuto nel comunicato che descrive in dettaglio i protocolli e le prassi adottati negli ultimi sei anni, sviluppati in collaborazione con Fondazione Mach e Istituto zooprofilattico, con il costante supporto dell’Azienda sanitaria» spiega il presidente Stefano Albasini.
«Un lavoro portato avanti con responsabilità proprio per evitare che tragedie come quella abbiano a ripetersi: questi studi rappresentano oggi il livello più avanzato di ricerca e di prassi casearie anche nel resto d’Italia. I controlli sono reali e certificati, e Concast è disposto a rispondere a qualsiasi domanda tecnica venga sottoposta». Il presidente Albasini, poi, rivendica lo spazio d’azione del gruppo che rappresenta nell’ottica della valorizzazione dei prodotti del territorio: «Avendo sempre presente il dramma di un bambino e della sua famiglia, occorre chiedersi anche se la Val di Non abbia o meno il diritto di identificare la propria produzione casearia all’interno di un territorio, e farne anche uno strumento comunicativo in chiave turistica. Concast crede di sì. Il formaggio che ne è scaturito è innanzitutto a latte pastorizzato e non crudo, e soprattutto è espressione di un lavoro corale, strettamente organizzato e controllato dal Concast. Un formaggio, appunto, di territorio, né un premio né un marchio di qualità a questo o quel caseificio. Oggi in Val di Non tutti i formaggi tradizionali prodotti dai caseifici sociali sono a latte pastorizzato.
È stato sbagliato iniziare la produzione proprio dal caseificio di Coredo (ancorché nello stabilimento di Tuenno)? Dal punto di vista tecnico no, perché Coredo – come tutti gli altri caseifici – garantisce le migliori condizioni di produzione. Dal punto di vista della sensibilità e dell’opportunità sicuramente sì, e di questo Concast ha già avuto modo di scusarsi».
Concast, per voce del suo presidente, sottolinea anche che è «giusto attendere che la giustizia faccia il suo corso in merito a responsabilità individuali ma comprendiamo che questa scelta abbia acuito un dolore che per la famiglia Maestri si rinnova ogni giorno». Papà Maestri ha una sola consolazione: «Spero che il calvario del mio Mattia possa salvare altri bambini».