il caso
giovedì 6 Marzo, 2025
Bimbo in coma per il formaggio a latte crudo, casaro e caseificio risarciranno la famiglia con un milione
di Davide Orsato
Confermate in Cassazione le condanne. Nel 2017 Mattia Maestri, all'età di 4 anni, ha contratto a sindrome emolitica uremica

A poco più di sette mesi dalla condanna in Appello arriva la parola definitiva, quella della Cassazione, per il legale rappresentate del caseificio di Coredo Lorenzo Biasi e del casaro Gianluca Fornasari ai tempi, di responsabile del piano di controllo. Una condanna al massimo della pena prevista per il reato di lesioni personali colpose gravissime e cioè a una sanzione di poco meno di 2500 euro ciascuno (esattamente 2478 euro).
Il caso è quello, divenuto notissimo anche fuori dei confini del Trentino, di Mattia Maestri, il bambino finito in coma a 4 anni nel 2017 (ora ne ha 11) dopo aver contratto una gravissima forma di Seu, la sindrome emolitica uremica, dovuta all’ingestione di formaggio a latte crudo contaminato da un batterio.
Entrambi gli imputati avevano fatto ricorso in Cassazione e, nella giornata di ieri, è arrivata la sentenza della Suprema Corte, che ha confermato l’orientamento dei giudici della corte d’Appello trentina.
C’è la pena, una multa contenuta ma con essa è stata confermata la ben più sostanziosa provvisionale, pari a un milione di euro. Seicentomila di indennizzo al piccolo Mattia e duecentomila per i genitori, papà e mamma. E proprio il papà, Gian Battista Maestri è da tempo impegnato in una battaglia per una maggiore trasparenza nel commercio dei prodotti a latte crudo. È stato proprio il suo attivismo a portare alla presentazione di un disegno che prevede una maggiore trasparenza in etichetta.
«La Cassazione — è il commento dell’avvocato che segue la famiglia Maestri, Paolo Chiariello — ci ha dato ragione su tutta la linea. Resta il fatto che la pena prevista è scandalosamente bassa in un Paese, come l’Italia, dove per violazioni minori si rischia molto di più. Quanto al risarcimento, andremo avanti in sede civile. Voglio sottolineare che siamo davanti a una famiglia che ha perso il figlio e che non può più tornare indietro, ma che sta combattendo una battaglia perché episodi del genere non succedano più. Mangiare un pezzo di formaggio non può diventare una sorta di roulette russa».
Lo scorso ottobre erano arrivate le motivazioni con cui era stato rigettato l’appello (che si è tenuto per la parte strettamente penale) per la provvisionale. «È stata accertata — scriveva il giudice Massimo Rigon — , la sussistenza del nesso causale, oltre ogni ragionevole dubbio. Quello che è mancato, da parte dei responsabili del caseificio è stata la vigilanza. «Se il presidente del Caseificio sociale di Coredo Lorenzo Biasi avesse vigilato sull’operato del casaro Gianluca Fornasari — ha scritto il giudice — non sarebbe stato prodotto un formaggio infetto ovvero, anche se prodotto, non sarebbe stato commercializzato ma anzi ritirato, avendo peraltro il presidente, come già troppe volte detto a questo punto, il potere-dovere di farlo. La conclusione: «I dati dimostrano che il comportamento doveroso mancato era in realtà perfettamente esigibile da parte del presidente e del casaro».
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