Mondiali di calcio
mercoledì 7 Dicembre, 2022
di Simone Casciano
La sala prenotata, le bandiere nazionali appese, il maxischermo sintonizzato su Rai1 e le voci, familiari, di telecronisti noti come Dario Di Gennaro e Andrea Stramaccioni. Sembra una delle classiche scene a cui siamo abituati, come italiani, durante i mondiali di calcio. Solo che l’Italia non gioca e le persone riunite martedì pomeriggio in una sala di Ravina, al ristorante Acquablu, sono qui per sostenere un’altra squadra: il Marocco.
L’attesa
Sono più di sessanta gli italo-marocchini arrivati per sostenere la loro nazionale contro la Spagna martedì pomeriggio. C’è chi ha preso un permesso da lavoro, chi è corso appena finito il turno. Nel prepartita si respira trepidazione.
«È la prima volta che arriviamo al mondiale con la consapevolezza di potercela giocare – ci dice Youness che da 22 anni è in Trentino – nelle precedenti edizioni eravamo soddisfatti di esserci. Questa volta vogliamo di più». E Youness ha ragione, «I leoni dell’Atlante» sono una delle rivelazioni di questa edizione del mondiale. Nella fase a gironi sono stati capaci prima di imporsi 2 a 0 sul Belgio, mettendo la parola fine sulla generazione dorata di Kevin De Bruyne e Romelu Lukaku, e poi di prendersi la testa del gruppo battendo anche il Canada. La ricompensa è stata un ottavo di finale contro la Spagna, una delle favorite al titolo. Si potrebbe pensare che, viste le tensioni tra i due paesi, questo sia una sorta di derby ma, almeno per la comunità marocchina trentina, non è così. «Non ci interessa l’avversario, vogliamo solo andare avanti. Spagna, Francia o Brasile è uguale. Siamo qui per il Marocco». C’è però voglia di rivincita contro gli iberici, fu un pareggio per 2 a 2, strappato dalle furie rosse al novantesimo, a concludere la corsa del Marocco all’ultimo mondiale. Come la comunità marocchina di Trento sia arrivata a riunirsi in questa sala lo racconta Qabil: «È dalla prima partita che prenotiamo questo spazio, lo avevo scoperto io perché qui ho fatto una formazione per lavoro, ho chiesto al proprietario se potessimo utilizzarla e mi ha detto di sì». E sono in tanti quelli arrivati per l’occasione. I bambini corrono avvolti nelle bandiere del Marocco. Gli adulti intanto discutono di formazione. Arriva il momento dell’inno e si canta tutti assieme.
Fischio d’inizio
Fin da subito si capisce perché le aspettative dei marocchini siano ben riposte. Questa è una squadra vera e di cui è facile innamorarsi. Ci sono un paio di difensori centrali attenti che danno sicurezza come due fratelli maggiori, Aguerd e Saiss, un centrocampista roccioso che è al contempo muro alle velleità offensive degli avversari e trampolino di lancio per quelle della propria squadra, Sofyan Amrabat, c’è un terzino tutto fuoco, dribbling e velocità pronto a incendiare i cuori di una nazione, Achraf Hakimi, e infine c’è un fantasista mancino, geniale e un po’ indolente, a cui è affidato il compito di accendere l’attacco del Marocco, Hakim Zyech. La partita inizia e il pallone lo tengono gli spagnoli. Tra i tavoli si discute, c’è chi già al 15esimo chiama qualche cambio per riaccendere la squadra. Alle pareti, accanto alla bandiera rossa con il pentagramma verde del Marocco ci sono anche quelle dell’Europa e dell’Italia. «È ovvio siamo anche italiani! – dice Nordin, cresciuto in Val di Cembra – agli europei tifiamo sempre l’Italia e, se ci fosse stata, l’avremmo tifata anche al mondiale! Peccato che non si è qualificata ma se avesse incontrato il Marocco avrei avuto il cuore spaccato a metà senza sapere cosa fare (ride)». Guardare una partita del Marocco è come guardare quelle dell’Italia: si soffre, si urla e ci si arrabbia con l’allenatore. L’unica differenza è che c’è molto meno alcol. La sorpresa arriva attorno alla mezz’ora di gioco, che coincide con il momento della preghiera. Si spegne l’audio della partita. Tutti rimangono in silenzio mentre viene intonato il richiamo a pregare. Gli uomini poi si alzano, stendono i tappeti, si rivolgono a sud est, in direzione de La Mecca, e pregano. Chi non partecipa guarda la partita in rispettoso silenzio. Un salvataggio miracoloso di Hakimi viene accolto da qualche timido applauso. Quando il Marocco arriva vicinissimo al gol qualche urlo scappa, subito seguito dall’invito al silenzio. Terminata la preghiera la partita continua a scorrere su suoi ritmi normali.
Intervallo
Nella pausa tra primo e secondo tempo è Youness a raccontare cosa significa tifare per la propria squadra di origine: «È un sentimento bellissimo. Mi sento davvero orgoglioso di loro. Poi è bello vedere l’affetto e il supporto da parte di tutti. A lavoro e in giro, colleghi e amici mi chiedono come va la squadra e mi raccontano che fanno il tifo per noi». Qualcuno di loro è qui a vedere la partita. Fabio lavora con alcuni italo-marocchini e segue le partite assieme a loro: «Ho deciso dalla prima partita di tifare Marocco ed è stata una bella scelta considerato come giocano». Il secondo tempo rimane bloccato sullo 0-0, mentre la partita scivola verso i supplementari la preoccupazione si alterna alla speranza. «Abbiamo un gruppo forte che è uscito primo da un girone di ferro. – sottolinea Mounir, arrivato in Italia più di 20 anni fa assieme a Nordin – Ora non giochiamo solo per il Marocco ma per tutto il mondo arabo».
Supplementari e rigori
All’81’ un altro pezzo di questa storia intrecciata tra Italia e Marocco entra in campo. Si tratta di Walid Cheddira, nato e cresciuto a Loreto, capocannoniere della serie B e del Bari.
Proprio sui suoi piedi, nel primo tempo supplementare, capita la migliore occasione del Marocco ma l’attaccante non riesce a concretizzare. La partita finisce ai rigori, proprio come Italia Spagna agli ultimi europei. Questa volta non ci sono né Chiellini né Donnarumma, ma il risultato è lo stesso. È il portiere Bounou a ergersi a eroe nazionale, parando due rigori agli spagnoli che ne tirano un terzo sul palo. Per quello decisivo sul dischetto si presenta Achraf Hakimi, nato a Madrid, ma che quando ha dovuto scegliere per quale nazionale giocare non ha avuto dubbi. 11 metri, rincorsa, cucchiaio! Come Totti, come Zidane, come i grandi campioni. Il portiere spagnolo può solo guardare mentre il pallone, beffardo, si infila dolcemente in porta. Esplode la festa dei giocatori e anche la sala di Ravina sembra essersi trasformata nella curva dello stadio. Partono cori, volano bandiere, poi tutti in macchina di corsa verso San Pio X e in Piazza Venezia con i clacson che suonano all’impazzata. Certe cose, certe tradizioni, davvero non cambiano mai.
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