L'INTERVISTA
mercoledì 20 Settembre, 2023
di Tommaso di Giannantonio
Professore di Demografia e statistica sociale all’Università Cattolica di Milano, Alessandro Rosina fa parte dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia ed è stato consulente del governo. Quando si parla di calo di nascite e invecchiamento della popolazione è una delle voci più autorevoli in Italia. «Invertire il trend — dice — si può, anzi si deve. Ma in 15 anni bisogna superare il tasso di fecondità europeo». Solo così si potrà frenare quell’emorragia di persone in età lavorativa: in Trentino, come messo in luce nell’assemblea di Confindustria, ce ne saranno 30mila in meno nel 2050, con una potenziale perdita di 2,2 miliardi di Prodotto interno lordo (il T di ieri).
Quali sono i fattori alla base della crisi demografica?
«Nelle società moderne avanzate come l’Italia i rischi di morte si sono ridotti notevolmente. Un bambino ha un’altissima probabilità di arrivare all’età dei genitori e andare oltre. Pertanto abbiamo un aumento degli anziani. Ma non solo. L’aumento dell’aspettativa di vita ricade anche sulla fecondità perché bastano due figli perché si arrivi a sostituire i genitori: il livello di equilibrio generazionale è sceso a 2 figli per donna. Il “problema” è che il trend dell’aspettativa di vita è proseguito e così la fecondità (numero medio di figli per donna, ndr) è scesa sotto i 2 figli. Oggi nessun Paese europeo riesce a mantenere una fecondità a 2, neanche la Francia e la Svezia, che hanno politiche familiari più solide».
Quando è iniziata la crisi demografica in Italia?
«A fine anni Settanta, quando il tasso di fecondità è sceso sotto i 2 figli. Nella prima metà degli anni Ottanta è crollato a 1,5. Da 40 anni l’Italia, non solo non ha una fecondità tale da garantire un equilibrio generazionale, ma è addirittura sotto 1,5 figli per donna. Questa è la grande differenza dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei. Il valore attuale è 1,25, tra i più bassi d’Europa. La media europea è 1,53».
Quali sono le conseguenze?
«L’Italia è uno dei Paesi europei che ha alimentato e sta alimentano più squilibri. Agli inizi degli anni Novanta è stato il primo Paese in cui la platea degli over 65 ha superato quella degli under 15. Più recentemente gli over 65 hanno superato anche gli under 25».
Perché Francia (1,83) e Svezia (1,66) hanno tassi più elevati?
«Francia e Svezia hanno politiche di sostegno al reddito molto più consistenti, hanno portato i servizi per l’infanzia (0-3 anni) ad una copertura superiore al 50% e concedono in maniera più diffusa i congedi parentali per i padri. L’Italia, oltre a non aver sviluppato questi tre elementi, presenta anche un’elevata popolazione di Neet (giovani che né studiano né lavorano). All’interno del quadro italiano, il Trentino (1,36, ndr) e l’Alto Adige (1,71, ndr), seppur in sofferenza, sono messi meglio».
Quanto incide l’incertezza del futuro?
«Incide molto. I giovani incontrano una serie di carenze in termini di formazione professionale, sostegno al diritto allo studio, servizi per l’impiego, investimenti in ricerca e sviluppo e politiche abitative. L’unico aiuto che intravedono è quello che arriva dai genitori. Il che origina disuguaglianze sociali perché le famiglie non hanno lo stesso reddito. Tutto questo crea un forte senso di incertezza e rende i giovani iper cauti. Fare un figlio dovrebbe essere una scelta premiante, invece negli ultimi 15 anni il rischio di trovarsi in povertà assoluta per una famiglia under 35 è raddoppiato rispetto a quello di una famiglia over 65. Oggi nella fase adulta l’unica scelta irreversibile è quella di avere un figlio. Prima di fare questa scelta, dunque, l’incertezza gioca un ruolo importante. I giovani italiani desiderano avere figli al pari dei giovani svedesi e francesi, ma non hanno le stesse opportunità. Non basta un bonus per decidere di avere un figlio».
In Trentino è stimata una riduzione di 30mila persone in età lavorativa nel 2050. Qual è la situazione in Italia? È possibile invertire questo trend?
«La situazione italiana è ben peggiore rispetto a quella degli altri Paesi europei ed è particolarmente grave al Sud, dove il contributo dell’immigrazione è minore e l’emigrazione dei giovani è maggiore. Oggi i trentenni sono un terzo in meno dei cinquantenni e a loro volta gli under 30, siccome non abbiamo invertito il trend, sono un terzo in meno dei trentenni. È una trappola demografica».
Si può uscire da questa trappola?
«Si “deve” uscire. La Germania è un esempio positivo: 15 anni fa aveva un numero medio di figli per donna più basso rispetto all’Italia, mentre oggi è più alto della media europea (1,5). Come ha fatto? Ha investito sulla leva delle politiche familiari, ispirandosi alla Svezia, e sulla leva dell’immigrazione, includendo i profughi nel mondo del lavoro».
In 15 anni, dunque, si può invertire la tendenza?
«Sì, anche le proiezioni Istat lo fanno vedere. Ma l’unico modo per invertire la tendenza è convergere verso lo scenario più alto prospettato da Istat. Non ci si può accontentare di portare il tasso di fecondità ai livelli della media europea. Bisogna portarlo ai livelli della Francia e della Svezia, così da trascinare le nascite sopra le 500mila unità, anziché le 400mila attuali. Questo scenario si combina con elevati flussi migratori: serve almeno uno slot di 250mila entrate l’anno. Anche il Trentino dovrebbe mirare a convergere verso lo scenario più alto e, al contrario del contesto nazionale, ha più chance di riuscirci perché parte da una struttura meno squilibrata. Il Trentino dovrà rafforzare progressivamente le politiche familiari e le transizioni al mondo del lavoro».
Qual è l’impatto della crisi demografica sull’economia?
«Ci troviamo a gestire un modello di sviluppo completamente diverso rispetto al passato perché prima la crescita si basava su un’abbondanza di nuove generazioni. Nel 1951 in Italia gli under 30 erano più della metà della popolazione. Oggi non è più così. Bisogna trovare il modo di generare ricchezza con una popolazione composta da tanti anziani e pochi giovani. Un fatto inedito che, però, bisogna gestire».