L'esperto
giovedì 4 Gennaio, 2024
di Simone Casciano
Ha la voce stanca di chi da troppo tempo lancia allarmi inascoltati. Forse Luca Mercalli si sente un po’ come Cassandra, la figlia di Priamo maledetta da Apollo, con profezie esatte a cui nessuno dava ascolto. Alle profezie però Mercalli preferisce i consigli e questo nuovo inverno, per ora senza neve, è l’occasione perfetta per invitare le terre alte a immaginare un futuro prossimo, in cui sarà fondamentale trovare fonti di sostentamento diverse dal turismo invernale legato allo sci.
Mercalli anche quest’anno manca la neve, finora…
«Dovrebbe arrivare venerdì. Intanto prendiamoci quella che arriva, sulle Alpi orientali ci aspettiamo una nevicata importante. È presto per i bilanci, quelli si fanno a fine stagione. Di sicuro però è stato un dicembre molto sotto la media per quel che riguarda le precipitazioni nevose. Però tutto può ancora capitare quest’anno, abbiamo avuto anni completamente asciutti, come il 2022, e anni che magari hanno recuperato nei mesi tra gennaio e marzo. Ma si tratta di fenomeni episodici».
Cosa di dicono invece le tendenze di lungo periodo?
«Ci dicono chiaramente che l’innevamento sulle alpi ha perso un mese buono di precipitazioni negli ultimi 50 anni. Questo perché le temperature sono in aumento, quindi sotto i duemila metri molte nevicate sono diventate piogge e in primavera il manto nevoso fonde prima».
Intanto quest’anno in Val di Non la tradizionale Ciaspolada è diventata una corsa.
«Mi sembra proprio il sintomo e il simbolo chiarissimo di quello di cui stiamo parlando. Poi può darsi che tra un mese saremo sepolti dalla neve, ma saranno eventi episodici e intermittenti. Mentre anni fa sapevamo che la neve di novembre ce la tenevamo fino a Pasqua».
In questo contesto come è messo il turismo invernale?
«Sui grandi rapporti scientifici ormai da trent’anni le proiezioni annunciano la crisi in arrivo. Chi è furbo guarda questi numeri e cerca di programmare un futuro diverso per la montagna, altri preferiscono invece mettere la testa sotto la sabbia, o la neve, e insistere con lo stesso modello. Io credo che ci siano gli spazi per accompagnare questa transizione. Avremo ancora qualche anno buono di nevicate, in mezzo ad anni di magra, ma saranno sempre meno e sempre più rari. Il turismo però vuole certezze e programmazione e questo le nevicate non potranno garantirla per cui si farà sempre più ricorso, e già si fa, alla neve artificiale che infatti chiamano “programmata”. Attenzione però che se oltre alla neve scompare anche il freddo il gioco salta, perché sopra lo 0 neanche i cannoni possono produrla».
Oltre a quello economico, quali sono i costi della neve artificiale?
«Sono principalmente due. Il primo è la costruzione dell’infrastrutturazione, mettere un impianto su un versante montuoso non è uno scherzo. Scavi, posa di tubi, interventi che possono andare bene in luoghi già molto antropizzati, ma sarebbe eccessivo pensare di estenderli a tutta la montagna, sarebbe un disturbo importante delle condizioni ecologiche. L’altro costo è l’energia elettrica. È evidente che dipende da come la si produce. Chi fa neve artificiale è in montagna e spesso afferma di utilizzare energia dall’idroelettrico dicendo che così è a zero emissioni. In un’ottica semplicistica ha ragione, ma bisogna considerare che la coperta delle rinnovabili è corta. Se si quell’elettricità sostenibile per produrre neve artificiale significa che per qualcos’altro, magari di più importante, si fa ricorso a quella da combustibili fossili. Sull’acqua invece sono più favorevole, perché non è acqua che perdiamo, a fine stagione si fonde e la ritroviamo nei torrenti e nei fiumi. Chiaro che però poi bisogna fare i bacini artificiali. Se si fanno allora è doveroso progettarli bene, in modo che siano funzionali a più scopi, tra cui, ad esempio anche quello agricolo».
Il progetto
di Robert Tosin
Approvato il progetto esecutivo. I proprietari dei terreni hanno presentato le loro osservazioni contrarie all’opera, ma la Provincia tira dritto per contenere le esondazioni dell’Adige