L'intervista

venerdì 10 Febbraio, 2023

Campedelli, l’allenatrice trentina che ha lasciato l’Iran. «Donne private di ogni libertà. Le atlete? Non possono esprimersi»

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La coach di Mori ha rifiutato il rinnovo del contratto nella nazionale di volley, rientrando in Italia. «Impossibile lavorare in uno Stato che condanna a morte donne e giovani. Oltre al velo, le atlete devono giocare con gambe e braccia coperte. Il momento peggiore? L'incontro con Ebrahim Raisi»

Donna tra le giovani donne, in uno Stato, l’Iran, che ha trasformato le libertà femminili in una Chimera letale, costata la morte a chi ha provato a ribellarsi combattendo per ottenere quelli che dovrebbero essere diritti inalienabili dell’umanità. Alessandra Campedelli è stata dal 2022 al 31 gennaio 2023 l’allenatrice della nazionale iraniana femminile di pallavolo. Lei, residente a Mori, ha un passato come allenatrice della Pallavolo C9 Arco Riva e, per il suo innato lato umano, capace di andare oltre le avversità della vita, è stata allenatrice della nazionale italiana femminile sorde.

Una vita per lo sport, inteso come luogo in cui l’umano e l’io interiore si incontrano per definire se stessi e il mondo che ci circonda, e in questa lotta crescere e imparare ad affrontare le difficoltà; maturare. È quasi certamente questa sua qualità che l’ha spinta un anno fa ad accettare il ruolo di allenatrice della nazionale femminile iraniana di pallavolo. Un sogno che ben presto si è trasformato in un incubo, in cui le luci e i sorrisi della propaganda dei primi giorni hanno lasciato spazio al profondo vuoto etico e culturale che separa il mondo occidentale da quello imposto dal regime degli ayatollah. Un anno passato ad accettare condizioni di vita e di lavoro limitanti con pressioni continue sul controllo della propria persona, delle dichiarazioni pubbliche, del proprio cellulare. Un controllo che si estendeva alle atlete costrette al silenzio, a non esprimere alcuna opinione, alcun pensiero personale. Alle quali è stato formalmente impedito di sposare le proteste pena l’espulsine dalla nazionale. Se non peggio. «Le donne – racconta Campedelli – sono agli antipodi di quello che siamo noi in Europa. Non hanno possibilità di libertà, sono tenute distanti dalla realtà e cresciute nell’incapacità di esprimersi chiaramente e apertamente. Parlare con loro era estremamente difficile perché non sono abituate ad essere libere di esprimersi». Un ruolo quello di Campedelli reso ancora più complesso dalle proteste in corso in tutta la nazione che non hanno aiutato il clima sia in squadra che nella vita di tutti i giorni. «Quello che sta accadendo in tutto l’Iran ha avuto ripercussioni anche sulle atlete che però sono costrette a non esprimersi, a tenere per loro i propri pensieri – spiega l’allenatrice moriana -. I social, questo mondo interconnesso permette a tutti di sapere che fuori dall’Iran ci sono altre regole e un altro mondo e questo ha reso evidente a tutte le ragazze le costrizioni a cui sono costrette a sottoporsi. Sappiamo molto sull’Iran, ma vedere da vicino questa realtà è emotivamente sconvolgente».

Alla scadenza del contratto, una nuova proposta dai vertici della federazione iraniana di pallavolo, ma Campedelli non se l’è sentita di continuare preferendo il ritorno in Italia. «Ho rifiutato per due motivi – confida Campedelli – uno etico legato al lato umano all’impossibilità di riuscire a continuare un lavoro al fianco di uno stato che limita le libertà, che toglie potere alle donne e che condanna a morte giovani e persone comuni perché hanno espresso un loro pensiero. Il secondo motivo, invece – continua – è professionale. La Federazione non mi ha messo nelle condizioni di poter svolgere il mio ruolo come avrei voluto e dovuto». Campedelli racconta di un clima volto a emarginalizzare l’impegno in allenamento e sul campo costringendo le ragazze a non avere i mezzi e gli strumenti adatti. «La differenza con il mondo maschile è abissale – chiarisce Campedelli – la palestra degli uomini ha l’aria condizionata, la nostra no e in estate in Iran serve. Ho chiesto medici femminili per supportare fisicamente allenamenti e competizioni delle atlete. Solo dopo insistenza ce l’hanno concessa per un giorno. Poi non si è più vista. Ho chiesto di fare dei lavori specifici, mi hanno accontentato con un piccolo whorkshop. Ma soprattutto – si sfoga l’allenatrice – pretendono, nonostante le inadeguate condizioni di lavoro, di avere risultati impossibili da raggiungere in così poco tempo. Mi è stato chiesto di portare la nazionale tra le prime 4 formazioni femminili asiatiche, al cospetto di Cina, Giappone, Corea del Sud e Thailandia partendo dalla 74esima posizione occupata dall’Iran femminile».

Risultati però, nonostante tutto Campedelli è riuscita a portarne. «Abbiamo raggiunto l’argento ai Giochi islamici. La nazionale femminile non saliva sul podio dal 1966 e questo dimostra che se venissero applicati i giusti metodi di lavoro, le ragazze potrebbero davvero negli anni raggiungere posizioni di pregio». La formazione iraniana inoltre ha l’obbligo di giocare coperta, legata nei movimenti da una divisa costrittiva ben lontana dalle tecnologiche divise dei campionati occidentali. Non solo hijab, il velo che copre testa, collo e spalle delle donne iraniane. «Oltre al velo devono giocare con gambe e braccia coperte – spiega ancora Campedelli – e non è una condizione ottimale. Ancor più perché questa non è una libera scelta, ma una costrizione imposta dal governo, un modo per rendere costantemente concreto il controllo sulle donne». Campedelli ha vissuto un finale di stagione estremamente difficile e al suo ritorno in Italia ha avuto bisogno dell’affetto dei propri cari prima di lasciarsi andare al proprio racconto. «È davvero un mondo che per persone come noi, cresciute in modo diametralmente opposto, è difficile vivere e lavorare. C’è un linguaggio non verbale che non possiamo capire perché soggiace a quell’innata incapacità di esprimersi data dal controllo che hanno avuto durante la loro vita. È un mondo di facciata in cui le alte sfere pensano solo ad apparire e non sono in grado di ammettere alcun tipo di errore. Sulla questione femminile (ancor più oggi con le proteste in atto ndr) – confida Campedelli – siamo al paradosso. In alcune cariche vengono messe delle donne, ma prive di potere e prive di formazione e competenze adeguate. È solo una facciata. Così come nei ruoli sportivi non si trovano donne o uomini che ricoprono cariche per meriti, ma per conoscenze».

In tutte le esperienze che la vita ci mette innanzi è bene trovare un lato positivo e, nonostante l’estrema difficoltà, Campedelli lo ha trovato. «Mi ha riempito d’orgoglio raggiungere la medaglia d’argento ai Giochi Islamici e, soprattutto, aver viaggiato per il Paese per incontrare le tante allenatrici, donne, che poi avrei dovuto selezionare per le formazioni nazionali Under. È stato un contatto umano di crescita reciproca, per me e per loro». Il momento più brutto, invece l’incontro con il Presidente dell’Iran Ebrahim Raisi. «C’è stata questa imposizione – racconta Campedelli -. Un giorno il Presidente ha voluto incontrare tutte le donne che avevano dei ruoli nello sport. Ci hanno portato da lui e si è fatto delle foto con noi, per farsi bello, per farsi vedere tra delle donne. È stato umiliante, frustrante, estremamente difficile».

Oggi Campedelli è nuovamente in Italia nella sua Mori, nel suo Trentino e ha ripreso il ruolo di insegnate di sostegno in educazione fisica. Sta raccogliendo le idee e i ricordi e ha da poco iniziato una serie di incontri che vorrà protrarre nel tempo con gli alunni delle scuole per testimoniare quanto vissuto in un mondo geograficamente e culturalmente distante dal nostro. «Sono felicissima di essere tornata. C’è bisogno di raccontare come alcune cose che i bambini credono impossibili, in realtà siano reali».