L'iniziativa

sabato 27 Luglio, 2024

Cappuccini e l’ora dell’addio: ultima cena per i volontari alla Mensa della provvidenza

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L’addio alla storica mensa alla Cervara. A settembre il trasloco in via Giusti

Un brindisi con un bicchiere di vino, salumi e formaggi trentini. I biglietti della lotteria venduti tavolo per tavolo, per non smettere di fare, anche in un momento di commiato, beneficenza. «L’ultima cena» dei volontari della mensa della Provvidenza, al convento dei cappuccini della Cervara si è svolta così, con sorrisi, strette di mano, pacche sulle spalle e un po’ di amarezza. Quella di un’era di volontariato cittadino che finisce. Ma il servizio continua: ancora per qualche giorno i poveri, i senza fissa dimora, tutti quelli che, per un motivo o per un altro, ne hanno bisogno, potranno continuare a mangiare, alle 17.30, nelle mura del convento «abbandonato» dai frati per ordine del capitolo triveneto esattamente un anno fa. Poi, a partire dal 4 agosto, per un mese, si farà come avveniva nel cuore dell’estate anche negli anni precedenti, con la consegna dei pasti in busta alla parrocchia di San Pio X. Da settembre il trasloco in via Giusti, alla sede della Caritas. La squadra sarà sempre la stessa: motivatissimi volontari (in tutto 250). Alcuni di loro si alternano da decenni ai tavoli della mensa di via delle Laste. «Sì, perché il servizio viene fatto così, al tavolo — spiega Enzo Perego, 77 anni, decano della mensa, presente fin dall’era di fra Fabrizio — in via Giusti, invece, ci sarà probabilmente un self service». Perego ha raccontato di aver fatto talmente tanti turni, per così tanti anni che, «se metto le scarpe vanno in convento da sole». «Ogni giorno arrivano qui 120 persone. Noi serviamo i pasti, senza chiedere nulla. Funzionerà così anche quando ce ne andremo da questo posto». Resterà la denominazione, mensa della Provvidenza, «nome voluto da fra Fabrizio — sottolinea fra Ezio Tavernini, per oltre quarant’anni “inquilino” del convento — e programmatico: “mensa dei poveri” non poteva andare bene. I primi anni lo spazio era nel corridoio, poi abbiamo recuperato la stanza sotto. Questo posto è stato un baluardo, lasciarlo anche per questa funzione è difficile». Tra i frequentatori delle sale che sono passati negli anni ci sono mille storie. «Abbiamo avuto persone italiane e straniere, da ogni angolo del mondo — racconta Emanuela Artini, responsabile della scuola Penny Wirton, che segue cittadini stranieri, spesso utenti della mensa, negli stessi spazi del convento — negli ultimi anni, tanti di loro sono stati richiedenti asilo, arrivati con la rotta balcanica. Noi non chiediamo loro nulla: sono già persone che vengono quotidianamente sottoposti a interrogatori, vuoi dalla questura, vuoi dalla prefettura, ma qualche volta condividono qualche momento di vita. Cosa chiedono? Soprattutto informazioni su un posto dove dormire. Spesso hanno un lavoro, eppure non lo trovano». La storia della mensa è una storia di una realtà nata in seno a un ordine religioso, con il volontariato laico come architrave. Ieri, a sorpresa, si è presentato per un saluto, con benedizione, l’arcivescovo Lauro Tisi. E c’era anche don Mauro Leonardelli, delegato vescovile per l’area testimonianza e impegno sociale. «Quando si pensa a posti come questi, si pensa a uomini soli che cercano cibo — la sua considerazione — invece vengono aiutate anche famiglie intere. Persone che hanno percorso migliaia di chilometri e si sono trovati davanti a una situazione completamente diversa da quello che si erano immaginato. E tra di loro ci sono stati anche uomini e donne che, dopo averne avuto bisogno sono tornati, come volontari».