L'INTERVISTA
giovedì 19 Gennaio, 2023
di Marika Damaggio
Riproponiamo l’ultima intervista di Carlo Borzaga al T Quotidiano. Il docente, scomparso domenica 3 marzo 2024, ripercorre la sua vita.
Non s’è mai lasciato attraversare stancamente dagli eventi. Anticiparli, studiarli, affrontarli sbattendoci faccia e pensiero è un talento di pochi. E Carlo Borzaga, nella sua lunga carriera, ha dimostrato di saper essere protagonista del suo tempo. Un teorico che sente il bisogno di affondare, letteralmente, le mani nella terra, toccandone e offrendone i frutti. Pioniere degli studi sul fenomeno cooperativo e sull’imprenditoria sociale, è stato ed è cooperatore. Ricercatore affacciato al mondo e nonno presente, tanto che di ritorno da un convegno puntualmente non ha mancato una sola volta di cercare un vestito colorato, di un marchio ben preciso, che tanto piace alle tre nipotine. Oggi che il presidente della Repubblica l’ha insignito del titolo di commendatore, Borzaga riflette sulla sua carriera scientifica, sugli orizzonti della cooperazione sociale e alle conoscenze accademiche aggiunge il peso empirico di chi conosce, da troppo vicino, il valore strategico dell’assistenza sanitaria. La Sclerosi Laterale Amiotrofica ha stravolto l’esistenza ma non ha fermato la ricerca, gli scritti, i progetti. «Dopo avere studiato il welfare per decenni mi sono improvvisamente trovato dalla parte dell’utente e ho capito l’importanza dei servizi sanitari», dice. Certo, ripete con la sua nota franchezza, «non è vita facile». Ma, per ora, aggiunge, «vita piena».
Insomma: professore, ricercatore, preside di facoltà, presidente di Euricse, cooperatore e al tempo stesso pioniere degli studi sul movimento cooperativo. Ma da qualche giorno può aggiungere anche il titolo di commendatore. Se lo sarebbe mai aspettato?
«No davvero. Non solo non mi sarei aspettato di ricevere il titolo di commendatore, ma neppure di diventare uno dei primi sperimentatori di un nuovo modello di cooperazione, quella sociale, e uno studioso del fenomeno cooperativo e dell’imprenditoria sociale riconosciuto a livello internazionale. Quando nel 1978 fondammo la Cooperativa Villa Sant’Ignazio nel primo articolo dello statuto non accennammo al suo ruolo sociale, alla solidarietà ecc., ma ci limitammo a scrivere che scopo della cooperativa era di “gestire Villa Sant’Ignazio”. E non avrei mai pensato di contribuire e dare dignità scientifica agli studi su queste tematiche. Fino a venticinque anni fa ritenevo che non ci fosse posto in Università per questi temi e quindi li portavo avanti per conto mio e invece poi su di essi ho basato anche la mia carriera universitaria. Se l’idoneità per associato l’ho ottenuta con le mie pubblicazioni in economia e politica del lavoro, quella per ordinario l’ho ottenuta con i lavori sull’impresa sociale e sulla cooperazione».
I titoli, per lei che è studioso che bada alla sostanza, non le sono mai interessati. Alla fine quale fra questi titoli le sta meglio addosso? Resta il ricercatore che cerca di trovare soluzioni o il professore che accompagna i suoi studenti?
«Direi tutti e due e non saprei quale sia stato predominante. Per chi lavora in Università i due ruoli tendono a coincidere e così è stato almeno per me. In particolare nel lavoro di tesi ho quasi sempre avuto studenti molto impegnati e con diversi di loro ho lavorato sui miei stessi temi di ricerca. Alcune idee originali sono il risultato di queste collaborazioni, come dimostra il fatto che gran parte dei miei lavori sono scritti in collaborazione con altri. A maggior ragione quando il rapporto era con studenti di dottorato. Una buona parte dei ricercatori di Euricse sono stati miei tesisti e poi borsisti post dottorato. Mi sono trovato spesso a svolgere il ruolo di orientatore con riguardo sia agli studi che alle scelte di vita».
La cooperazione, lei, l’ha sia studiata sia praticata, avendo contribuito a fondare una delle prime cooperative impegnate nel sociale: Villa Sant’Ignazio. Non solo: ha concorso alla costituzione della Federazione nazionale delle cooperative sociali e del Consorzio Nazionale CGM e ha fondato Euricse, riconosciuto a livello internazionale per gli studi sull’economia sociale. In questi decenni com’è cambiata la cooperazione sociale e come sono cambiati i bisogni a cui deve corrispondere?
«A partire dagli anni ’90 del secolo scorso la cooperazione sociale si è molto rafforzata perché le amministrazioni locali hanno progressivamente preso atto che i bisogni per la cui soluzione la cooperazione sociale era nata andavano seriamente presi in carico e quindi finanziati in modo adeguato. Questo ha permesso alla cooperazione sociale anche di superare indenne la grande contrazione del 2008-2011 durante la quale ha pure aumentato gli addetti e di mostrare una eccezionale resilienza durante e dopo la pandemia. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: in questo modo la cooperazione sociale, in particolare quella impegnata nei servizi socio-assistenziali ed educativi, è diventata non solo più dipendente dai finanziatori pubblici sempre alla ricerca di un risparmio di risorse attraverso il ricorso ad appalti spesso al massimo ribasso, ma anche limitata dai protocolli di gara nella selezione del personale e nella definizione dei modelli organizzativi. Questo ne ha limitato, anche se non soppresso, la capacità di innovare e di rivolgersi a nuovi bisogni. I bisogni in risposta ai quali la cooperazione sociale è nata non sono cambiati molto, alcuni si sono intensificati, altri si sono modificati, ma soprattutto sono nati nuovi bisogni, a partire dalla povertà materiale, alla casa, ai giovani sconvolti dalla crisi pandemica, alla non autosufficienza a cui la cooperazione sociale dovrebbe porre più attenzione anche proponendo alle amministrazioni pubbliche l’apertura di tavoli di co-programmazione come previsto dall’art. 55 del Codice del terzo settore».
Nelle sue ricerche e nei filoni di ricerca che ha riflesso in Euricse, negli anni ha posto attenzione alla riconoscibilità delle imprese cooperative che, dice sempre, sono imprese a tutti gli effetti e sono locomotiva economica. Ecco: intese come luoghi di lavoro, oggi dove mostrano particolare vivacità?
«Anche se stiamo vivendo un periodo di grande incertezza si può prevedere che le attività che nel futuro si svilupperanno di più siano quelle dei servizi in generale e in particolare dei servizi che fanno stare meglio le persone, in primo luogo la sanità, ma anche la formazione, la cultura, le attività sportive e i servizi assistenziali. A questi aggiungerei la produzione di energia da fonti rinnovabili. In tutti questi ambiti le forme di produzione associate e quindi anche le cooperative hanno una marcia in più come dimostra l’entusiasmo per le comunità energetiche dove la forma di gestione ideale da tutti i punti di vista, anche per la loro valenza sociale, è quella cooperativa. Bisogna però che la cooperazione trovi delle modalità di offerta dei servizi non sostenuti da risorse pubbliche che li rendano accessibili a tutti, anche ai meno abbienti, modificando il modo di definire i prezzi e alleandosi con il volontariato e l’associazionismo. Inoltre è necessario che non si continui, anche tra gli studiosi del terzo settore e gli stessi cooperatori, a ritenere superiori le imprese di capitali, come dimostra la tendenza a sovradimensionare l’iscrizione al registro delle imprese delle srl sociali, indicandole come le “nuove” imprese sociali. Dove l’aggettivo fa capire cosa pensano quelli che lo utilizzano: che anche nel sociale le cooperative siano una forma superata e che il futuro appartenga alle imprese sociali di capitale».
Lei è da sempre studioso che s’interfaccia col suo tempo, affrontandolo da protagonista. Anche in questa fase della sua vita non s’è sottratto alle sfide diventando testimonial del Centro Nemo e organizzando convegni scientifici sulla Sla. Cos’ha scoperto di nuovo?
«Dopo avere studiato il welfare per decenni mi sono improvvisamente trovato dalla parte dell’utente e ho capito l’importanza dei servizi sanitari non solo nella cura della malattia, ma anche nella capacità di fare da punto di riferimento di facile accessibilità. Questa seconda funzione l’ho scoperta con la malattia e con la frequentazione del Nemo che tra l’altro è un esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico e terzo settore. Per questo quando mi è stato proposto ho trovato giusto offrire la mia esperienza per dare voce a ciò che tutti i degenti del Nemo mi hanno detto e per organizzare alcune attività come il convegno a cui ti riferisci».
La malattia non ha mai interrotto i suoi studi. Ora su cosa si sta concentrando?
«Durante gli anni della presidenza di Euricse non ho avuto il tempo per portare avanti alcuni progetti personali perché troppo impegnato su diversi fronti. Adesso sto cercando di riprendere in mano i materiali di alcuni di questi progetti: un volume sui contratti di rete per l’inserimento lavorativo, uno sull’impresa sociale, uno sul pluralismo delle forme di impresa e, se mai ci riuscirò, uno sulla rilevanza economica del meccanismo cooperativo e sulla sua diversità da quello del mercato e dell’autorità. Purtroppo non riesco ancora a dedicarci abbastanza temo perché sto sempre collaborando ad alcune attività di Euricse e continuo ad avere sollecitazioni da colleghi e amici per fare anche altri lavori. Cerco come sempre di stare dietro a tutto sperando di avere il tempo di chiudere almeno i primi due volumi».
La sua è sempre stata una penna schietta, netta e mai banale. Con la medesima schiettezza oggi come racconterebbe questo capitolo della sua vita?
«Come un tempo regalato. Nei mesi immediatamente successivi alla diagnosi, nell’agosto del 2021, la malattia ha progredito velocemente tanto che pensavo di non arrivare a Natale. Poi dopo due ricoveri al Nemo e l’inizio di una terapia sperimentale la malattia ha rallentato e mi ha appunto regalato tempo per condividere l’affetto di famigliari e amici, veder crescere le mie nipotine Maria, Aurora e Martina, continuare a dare una mano a Euricse e riprendere in mano alcuni progetti. Chiaramente non è una vita facile né per me né per la mia famiglia, soprattutto per mia moglie, ma è sempre vita e, per ora, vita piena».