L'opinione
venerdì 18 Novembre, 2022
di Simone Casciano
Carlo Casonato ci accoglie nel suo ufficio nel palazzo della facoltà di giurisprudenza dell’università di Trento. Sulla sua scrivania si alzano audaci torri di documenti, libri e fogli. «Mi sto occupando di molti temi al momento» si giustifica il professore di biodiritto e diritto costituzionale. Molte di quelle cose di cui si occupa Casonato, che ha fatto parte dell’ultimo comitato nazionale della bioetica insediatosi nel 2018 e decaduto a maggio scorso, sono di estrema attualità da quando si è insediato il governo Meloni. Proprio da lì comincia la nostra intervista.
Professor Casonato cominciamo da quello che è il tema che più di tutti ha fatto discutere in queste settimane: il decreto anti-rave voluto dal governo. Ci sono davvero forti dubbi di costituzionalità? E sarà possibile sistemarlo in sede parlamentare o sarebbe meglio stralciarlo?
«Ci sono a mio parere seri problemi di legittimità costituzionale. Il primo è che il decreto-legge andrebbe adottato in casi di necessità e urgenza. È vero che, anche con i precedenti governi, ormai si è instaurata una prassi che definirei incostituzionale nell’utilizzo di questo strumento, però in questo caso davvero non si ravvede un’urgenza visto anche che la legge non può essere usata retroattivamente per punire i partecipanti al rave di Modena. Un problema formale che ne crea uno sostanziale: non si può eludere il dibattito parlamentare nella formazione di un nuovo reato specie se con pene così severe».
Cioè?
«Il nuovo reato prevede pene da 3 a 6 anni, cioè più gravi di reati come l’adescamento di minore o l’occultamento di cadavere, sono molto sproporzionate. Certo se ne potrà discutere in parlamento, in sede di conversione in legge, ma visto che va fatto entro 60 giorni i tempi saranno contingentati».
C’è poi un contrasto anche con la Costituzione?
«Si certo, l’articolo 17 dice che i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente senza armi e che le riunioni in luogo pubblico possono essere vietate solo per motivi di sicurezza e incolumità pubblica, questi sono i paletti. Il decreto invece introduce due nuovi limiti che sono la salute pubblica e l’ordine pubblico. Si tratta di termini vaghi che rischiano di essere interpretati in maniera molto ampia e con effetti indesiderati. Che succede quando più di 50 studenti occupano l’aula di un liceo o di un’università? Con la motivazione dell’ordine pubblico li si arresta violando un loro diritto costituzionale? Non c’era bisogno di fare tutto questo ci sono già nel nostro Codice penale i reati con i quali controllare il fenomeno dei rave party. In generale mi sembra che il governo abbia voluto dare una prova di forza, di ordine e disciplina, ma nel farlo ha deciso di operare con l’arma più forte e cattiva del diritto, quella penale che andrebbe maneggiata con più cautela».
Quella sui rave è stata una delle prime decisioni forti di questo governo: che idea si è fatto di quella che sarà la sua azione sui temi dei diritti?
«Penso questo sia un governo che su molte questioni avrà le mani legate. In economia, vista anche la congiuntura globale, dovrà seguire le linee che arrivano dall’Unione Europea e quindi non potrà apportare il cambio di passo significativo promesso in campagna elettorale. Anche in politica estera la linea sembra essere la stessa dei governi precedenti. Il rischio, quindi, è che la maggioranza, per venire in qualche modo incontro al suo elettorato che l’ha votata in maniera così ampia, si concentrerà su battaglie a costo zero, sui diritti civili. Temo che in qualche modo inizierà a lavorare in termini di arresto o di ostacolo ad alcuni avanzamenti che si stavano facendo largo all’interno della società e anche all’interno del diritto o addirittura che si cerchi di tornare indietro su diritti consolidati».
Le viene in mente qualcosa di specifico?
Si certo il ddl presentato dall’onorevole Gasparri per riconoscere la capacità giuridica al concepito, mentre ora si acquisisce al momento della nascita. Una legge che se approvata andrebbe chiaramente in conflitto con la legge 194 che regola l’accesso all’aborto
Quello all’aborto non è effettivamente un diritto nel nostro ordinamento ma basterebbe davvero una legge del genere per negarlo?
«Si e no, nel senso che la legge 194 sull’aborto del 1978 rispondeva a una sentenza della Corte costituzionale del 1975 che aveva dichiarato incostituzionale il reato, allora previsto, di interruzione volontaria della gravidanza. Perché metteva sullo stesso piano la madre e l’embrione. Ma essendo che la donna è nata essa è una persona giuridica che gode di piena titolarità dei suoi diritti mentre il feto, pur essendo oggetto meritevole di tutela, non ha la titolarità dei diritti. Quindi il diritto alla salute della madre prevale rispetto alla sopravvivenza del feto perché, dice la Corte costituzionale, sono due entità non equivalenti. Questa è la sentenza della Corte costituzionale da cui è nata poi la 194 quindi in qualche modo il disegno di legge presentato da Gasparri va a minare alle basi una sentenza della Corte costituzionale e immagino che, qualora venisse approvato, la consulta dovrebbe pronunciarsi di nuovo. Senza contare che una legge che riconosce personalità giuridica all’embrione avrebbe degli effetti anche sulla ricerca considerato che è da degli embrioni prodotti in vitro che si estraggono le cellule staminali embrionali utilizzate in laboratorio».
L’aborto non è l’unico tema che non è protetto dalla Costituzione?
«No esatto, anche i matrimoni omosessuali potrebbero essere un’altra vittima perché non hanno in sé un ancoraggio costituzionale, in quella parte di diritto che gli dà poi una prevalenza e li mette al sicuro dalle mareggiate politiche ogni cinque anni. Altri invece hanno questo ancoraggio penso al diritto alla salute, alla libertà di stampa, ci sono tutta una serie di diritti che noi sappiamo “i governi passano ma questi non vengono toccati”. Esiste però tutta una nuova sfilza di diritti che noi riconosciamo nel senso comune che non sono veri e propri diritti se andiamo a guardare quello che poi l’ancoraggio nelle leggi che regolano la nostra vita. E non potrebbe essere altrimenti: la nostra Costituzione è stata scritta fra il ‘46 e il ‘47 ed è entrata in vigore il 1° gennaio del ’48! Evidentemente in quegli anni non si parlava di procreazione assistita o di eutanasia oppure di consenso informato».
Eppure questi temi sono legati alla costituzione?
«Si perché poi la Corte costituzionale, così come tutte le corti supreme, interpretando quel testo ha tirato fuori dalla costituzione nuovi diritti e quindi, per esempio, il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza è stato saldato dalla nostra Corte costituzionale col diritto alla salute proprio perché nei primi tre mesi è la donna che decide in autonomia se la gravidanza può impattare sulla sua salute fisica o psichica e quindi lì c’è un aggancio molto forte in termini costituzionali. Per altri diritti questo aggancio è più debole, ma ciò non toglie che la costituzione in qualche modo è un albero che vive, che mette nuovi rami, nuovi frutti e quindi dubito che un semplice legge possa tornare indietro su diritti che ormai anche se non sono testualmente nella costituzione fanno parte dell’interpretazione costituzionale. Anche se poi su un ddl simile a quello Gasparri bisogna vedere quale sarà l’orientamento della Corte costituzionale perché abbiamo visto che negli Stati Uniti, con un ordinamento diverso, la loro Corte Suprema ha completamente ribaltato la sentenza Roe vs Wade che legiferava sull’aborto».
Un altro tema di cui il centrodestra ha parlato tanto durante la campagna elettorale è stata la possibile riforma di governo per passare a una forma di presidenzialismo, anche con l’elezione diretta del capo dello stato
«Diciamo in termini pregiudiziali io non sono contrario ad una modifica della forma di governo però non basta modificare un paio di articoli, perché in questo caso sarebbe una riforma che non si limita agli articoli costituzionali che verrebbero modificati ma a tutto l’equilibrio, tutto il bilanciamento complessivo della macchina di governo. Quindi io faccio fatica a vedere una modifica solamente dell’articolo che andasse a indicare l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Bisognerebbe modificare tutta una serie di articoli che sono collegati alla funzione del capo dello stato, all’equilibrio che c’è fra presidente della Repubblica e camere, arrivando fino alle maggioranze più o meno qualificate necessarie per determinati procedimenti e in ultimo all’assetto regionale. Altrimenti è come se si prendesse una macchina e la si dotasse solo di un motore molto più potente di quello che ha senza andare a modificare i freni le sospensioni e le ruote, il rischio è che non funzionerebbe o peggio di andare a schiantarsi. C’è quindi il tema dello stato che è una macchina complessa e poi c’è un tema culturale».
Cioè?
«Abbiamo visto in passato, con le leggi elettorali, che non si può semplicemente trapiantare un sistema che funziona in un altro paese, Germania o Francia, e pensare che funzionerà allo stesso modo in Italia perché il contesto è diverso, si rischia il rigetto. Allora forse più che di una riforma costituzionale mi sembra che avremmo bisogno di una riforma culturale. Un recupero di una cultura politica più attenta al principio democratico e al principio rappresentativo. Ci vorrebbe anche un’opinione pubblica più coinvolta in quello che fanno i nostri rappresentanti da questo punto di vista e per quello abbiamo bisogno anche che la stampa risponda veramente al suo ruolo di controllo nei confronti del potere».
Nel suo discorso di insediamento al senato Liliana Segre ha detto che se i governi, che si sono avvicendati negli ultimi anni, si fossero impegnati per applicare la costituzione quanto lo hanno fatto per tentare di cambiarla oggi l’Italia starebbe meglio lei è d’accordo?
«Assolutamente sì, ci sono dei principi che sarebbero utilissimi per il nostro paese e aspettano solo di essere applicati. Penso per esempio al principio di uguaglianza che nella nostra costituzione è articolato molto meglio che in altri testi fondamentali. Con il covid abbiamo visto crescere in questi ultimi anni il divario tra gli strati più ricchi e quelli più poveri della popolazione, per contrastare questo fenomeno basterebbe applicare l’articolo 3. Mi sembra un tema molto più importante di limitare il prossimo rave party».
Un tema di cui si è occupato a lungo è quello del fine vita e dell’eutanasia, la bocciatura, da parte della Corte costituzionale, del quesito referendario di un anno fa significa che la strada per una legge organica in materia è solo quella parlamentare? E secondo lei è questa la legislatura che colmerà quel vuoto legislativo?
«Si, la decisione della consulta, a mio parere giusta, indica che l’unica strada da percorrere è quella che passa dalle camere. Spero di sbagliarmi ma non credo che saranno questo parlamento e questa maggioranza a colmare il vuoto. Lo dico perché in passato, quando è stato approvata la legge sul testamento biologico, oppure quando ci sono stati casi noti come quello di Piergiorgio Welby o di Dj Fabo, i leader dell’attuale maggioranza hanno sempre espresso posizioni di chiusura rispetto all’aumento dell’autonomia individuale su questi temi. Quindi se sono coerenti non vedo né facile né rapida un’approvazione di un disegno legge sull’aiuto al suicidio men che meno un disegno legge sull’eutanasia. Mi immagino che nei prossimi anni questa materia delicata, che davvero richiederebbe un intervento del legislatore, verrà ancora disciplinata secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale e in particolare con la sentenza del caso Dj Fabo: che permette la non punibilità di chi assiste una persona nel togliersi la vita laddove questa persona soffra di una malattia grave e incurabile».
Lei adesso a cosa sta lavorando?
«In bioetica ci sono due filoni su cui ci stiamo concentrando, da una parte quello tradizionale e la discussione qui verte sul diritto all’aborto, sull’obiezione di coscienza, che in molte regioni limita un diritto e quindi è una questione da risolvere, e di eutanasia. C’è poi tutta una nuova branca di studi che si sta occupando di intelligenza artificiale, di organoidi, ossia dei tessuti creati a partire da cellule staminali embrionali».
Ma sono temi che arriveranno in parlamento?
È difficile perché spesso sono questioni poco conosciute ai parlamentari stessi. Non è così ovunque, in Inghilterra ad esempio a Westminster c’è un ufficio scientifico dedicato che si occupa di consegnare ai deputati report scientifici oggettivi ogni settimana perché rimangano aggiornati sulle questioni. In Italia non c’è niente del genere. Come comitato bioetico nazionale era un compito di cui ci eravamo fatti carico, ma il comitato è scaduto a maggio e non è ancora stato rinnovato. Sarebbe importante che il governo lo facesse quanto prima».
L'INTERVISTA
di Gabriele Stanga
Il professore emerito del dipartimento di Sociologia commenta i dati Ocse: «La cultura scolastica è sconnessa dalla realtà economica, sociale e culturale. Non si crea l’abitudine a leggere e informarsi»